martedì 17 dicembre 2013

LA FAVOLA DELLA PULCE E DEL LEONE

LA FAVOLA DELLA PULCE E DEL LEONE
Una volta una pulce disse al leone: "Mi hai copiato la ferocia, maledetto! Ora ti voglio diffamare nel mondo intero!"
   Questa pulce si credeva pure padrona di una carrozza, che era un povero cane là vicino. 
  "Ma chi parla qui intorno?, disse il leone. Non vedo nessuno".
   Allora la pulce lo morse a sangue, ma il leone era davvero un tipo tosto, sentì un pizzichino, quello sì, ma poi più niente. Si alzò, si scrollò con vigore la folta criniera e la pulce fu ignominiosamente scaraventata via dalla sua splendente pelliccia.
    La pulce allora, che era pure una perfetta fuori di testa in incognito, saltò sulla sua vecchia carrozza, che era sempre il povero cane, e se ne andò verso il suo destino, che era quello di essere schiacciata da un'altra perfetta fuori di testa come lei assolutamente in incognito.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

p.s. un vero scrittore sa sempre difendersi con le sue stesse parole da qualsiasi attacco, anche il più fraudolento, e non ha mai bisogno di rivolgersi agli avvocati per questo, pur essendo nel suo diritto....

lunedì 16 dicembre 2013

L'INFAME

   C'era una discesa vorticosa come in un dedalo di vicoli di una città straniera. E lì davanti a me andava un mio amico letterato, io ogni tanto gli lanciavo una palla come per farlo cadere come un birillo. Lui in realtà era un rampollo di una ricca famiglia milanese e in passato mi aveva fatto del male, infamandomi con le sue luride menzogne davanti ad altri amici comuni per via delle patrie lettere. Io l'avevo affrontato a muso duro e lui era scappato a gambe levate, poi, in seguito, era diventato uno dei miei migliori amici, ma io non mi ero mai più fidato di lui.
    Ora me lo ritrovavo davanti a me in una città straniera che andava di fretta davanti a me. Aveva paura di me ora. Io gli lanciavo i più vari oggetti rotolanti per farlo cadere, ma non riuscivo a beccarlo. La discesa ormai stava per finire in un largo spiazzo piano e io stavo perdendo la speranza di centrarlo. Mi restava un ultimo unico lancio prima della spianata. Così gli getto rotolando una bottiglia vuota di birra peroni, la bottiglia rotola, arriva dietro di lui e urtando contro un marciapiede si rompe in due pezzi, lui a sentire il rumore dei due cocci infranti si spaventa e cade. Beccato! Brutto maledetto pirla del demonio!
     Cade proprio come un birillo e io sono ultrarcicontento di averlo fatto cadere proprio come uno stupido balordo birillo.
     Ora comunque ci sono altri luridi infami che propalano schifose menzogne su di me. Ma che ci guadagnano? Perchè lo fanno? Io non faccio nulla di male a loro, nè a altri. Ma a qualcuno do fastidio con la mia semplice presenza al mondo e loro si vendicano. Gente ingozzata persa di male, che scaricano il loro vomito insopportabile sugli altri, senza motivo che la loro maligna follia, perchè forse è un peso troppo oneroso per sè soli e allora scaricano quello che possono sugli altri, e ci riescono pure. Ma il loro stesso male è la l'unica punizione possibile praticabile... E prenderli a pallate se caso mai li incontri in una discesa di una sconosciuta città straniera, nei sogni...
    Ma un infame rimane pur sempre una carogna impraticabile, nè di diritto nè di rovescio...
   E là intorno c'era pure una prostituta che adescava uomini danarosi con la scusa di uno studio psichico pieno di piante carnivore di tutte le specie della città... Li accompagnava pure personalmente dove volevano loro prima, per aumentare la tariffa, quest'altra imbamona... 
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO