Ero in una via di un paese sconosciuto, con dei miei amici che facevano baldoria. Ma io ero triste e non sapevo perché.
Dopo un pò ho detto a tutti:
"Devo andare da mio padre, abita qui vicino".
Infatti in un vicolo strettissimo là vicino c'era una casa piccolissima dove abitava qualcuno che conoscevo molto bene.
Vado lì e entro, c'è Bukowski con la sua vecchia macchina da scrivere che lavora come un dannato, mentre noi tutti là fuori ce la scialavamo alla grande come dei perfetti dementi.
"Ehi, Joseph! Sei tu? E le birre te le sei scordate stavolta?", mi fa.
"Le vado a comprare subito", dico io, meravigliato che non mi abbia buttato fuori, infatti lui odiava da morire essere interrotto nel suo lavoro, non lo tollerava mai.
"Ehi, che poi mi devi preparare il sugo di polpette di asino che sapete cucinare solo voi, terroni della bassa Italia, te capì, nino?", mi dice poi sorridendo, sornione.
"Certo, Buk! Con vero piacere", dico io, facendo l'atto di già correre alla bisogna.
"Joseph, mi devi accompagnare all'aeroporto, poi. Devo consegnare queste cartacce qui a un tipo che viene dall'Arizona, un pezzo grosso dicono. Mi darà parecchia grana, poi ti pagherò tutto", mi dice lui.
"OK, Buk", dico io.
"Vai ora che ho una fame di una tigre e una sete di una balena", mi fa lui e ride.
Esco nel vicoletto. Sento dietro di me che la sua macchina da scrivere attacca a battere con il ritmo di una vera mitragliatrice.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
