giovedì 27 giugno 2013

LUCA IL MARESCIALLO E CELINE

    Me ne stavo in via Festa ad Acquaviva sotto la casa di Luca il Maresciallo. Eravamo andati a chiamarlo ma lui non scendeva. Abitava al quarto piano di una bella casa, con una grande vetrata in cucina. Lui aveva fatto la guerra di Francia. Poi era stato pure in Spagna dove era diventato maresciallo, l'unico della nostra sterminata famiglia. Che io sappia era andato anche in Etiopia a combattere, ma di questo non faceva mai menzione. Di quello di cui parlava sempre era che aveva conosciuto a Parigi, in un ospedale militare in convalescenza, il geniale scrittore Céline. Per fortuna in paese nessuno ne sapeva niente, nè di libri nè di grandi genii della letteratura. 
     Non scendeva, non ne aveva voglia.
     "Tu, mon amì Joseph, avresti dovuto proprio conoscerlo. Era semplicemente un genio. Mangiamaccaroni, mi diceva e scoppiava a ridere a vedere la mia faccia serissima di combattente ferito. Noi italiani eravamo accorpati ai francesi per vedere come combattevano, anche dei loro erano in Italia, sul Carso, a vedere come ce la cavavamo pure noi. I fratelli sono sempre sospettosi l'uno dell'altro. Gli americani erano contenti dovunque si trovavano. Sono ragazzi quelli, mio Joseph, noi e i francesi siamo dei vecchi marpioni scoppiati ormai...", mi disse una volta Luca il Maresciallo. Del Regio Esercito di una volta...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO  

domenica 2 giugno 2013

POETI DI STRADA


    C'erano tanti artisti di strada. A uno di loro avevo dato due miei libri, una rosa rossa di 100 poesie d'amore e una pistola finta per tentar il colpo gobbo alla bottega del destino intelligente.
    Dopo un pò quel cornuto mi telefona e mi fa: "Stai attento che ti stanno cercando per picchiarti!".
    "Ma che dici? Perchè dovrebbero picchiarmi?", gli chiedo io abbastanza arrabbiato.
    "Son venuti a parlare con me e io gli ho detto delle cose", mi fa lui bofonchiando.
    "E che gli hai detto? Di che infamia mi hai accusato?", gli chiedo io, completamente fuori di me.
    "Di niente. Di niente", dice lui e cade la linea.
    Io me ne sto a piazza Duomo. Gli ho ragalato due libri a quel fottuto e chissà cosa è andato a dire in giro di me. Mi deve 300 euro ora sono ormai 4 anni.
    Se vogliomo picchiarmi mi devono prendere alle spalle, altrimenti non son sicuro che ci riescono.
     Poi penso di nuovo sicuro di me: "Non ho fatto del male a nessuno e così mi viene di non temere mai niente e nessuno".
    Si vive comunque per strada, da poeti. Non è una vita facile, è il nirvana.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

PENSIERI DI UN MONACO ZEN

    "O ricchi o poveri si vive lo stesso. E allora perchè non far vivere decentemente tutti i poveri? 
    Si vive allo stesso modo da uomini, o ricchi o poveri. E allora perchè non far in modo che anche i poveri diventino ricchi a loro volta? C'è mondo abbastanza per far anche questo.
    Il popolo se è felice lavora meglio.
    Ma davvero i governanti sono così stupidi che non capiscono niente di uomini e di mondo?"
    Così diceva un monaco zen sperduto tra vari tempi deserti dove proprio nessuno si recava più a pregare e a meditare.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

CONTROLLORI ALL'ATTACCO

    Arriva un autobus dell'ATM e tre controllori si avventano sulle porte senza far uscire nessuno e poi s'infilano dentro per controllare i biglietti.
    "Minchia, si son proprio messi d'impegno oggi", dico io.
    Arriva un altro bus e altri tre controllori si aggrappano letteralmente alle porte senza far uscire nessuno e poi si ficcano dentro.
    "Puttana miseria, sembrano proprio dei leoni affamati di clandestini senza biglietto oggi i controllori", dico io.
    Ma mi accorgo che i bus ora hanno una quarta porta, proprio accanto  al posto dell'autista e da lì alla chetichella escono 3 o 4 dei soliti furbastri senza biglietto.
    "Macchè, tutto come prima allora", dico io.
    Un tipo si avvicina e mi fa:
    "Hai visto come sono pimpanti oggi i controllori?"
    "Sì, ho notato. Ma che è successo? Hanno mangiato piccante o cosa?", faccio io.
    "Di più! S'è sparsa voce che è in giro su un autobus Greta Garbo e allora sti pirla fanno a gara a chi le controllerà il biglietto e magari dopo aver l'ardire di baciarle la mano o qualcos'altro! Te capì, maneghino?", mi fa lui.
    "Ma pensa te! Ora si capisce tutto questo fervore e questo attaccamento al lavoro stamattina! Sti pirla!", dico io e mi metto a ridere.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

CHIESE DI CAPRI

    Mi accompagnavano in macchina per le varie chiese di Capri. Ce ne stavano davvero tante e in ognuna ci recavamo per visitarla e ammirarla. Lungo un tratto abbastanza fuori mano ce ne erano due e io entro nella prima. La navata era grande e spaziosa e pure molto buia. Su un altare laterale mi accorgo che sotto una madonna bizantina c'è pure la riproduzione della madonna di Costantinopoli del mio paese. E anche dell'altro suo santo patrono Sant'Eustachio. Tutto è illuminato dalle fioche luci di 4 o 5 candele votive.
    "Ehi, ma qui c'è pure la madonna di Acquaviva! Come ha potuto arrivare fin qui?", chiedo a chi mi accompagna.
    "Bah, l'avrà portata qualche devoto del tuo paese", dice quello.
    "Oppure l'ha portata qualche devoto di Capri", dico io.
    "Può essere", dice lui.
    Usciamo. Fuori c'è un'altra chiesa da visitare, proprio vicino alla riva del mare. Ma io son proprio sazio, son troppo contento di aver trovato traccia del mio paese fino a Capri.
    Comunque è già sera.
    Allora prendiamo la macchina e risaliamo verso casa.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

CALZE DI SETA SPLENDENTI


    Me ne stavo nella camera da letto dei miei affittacamere quando vedo seduta a una vecchia sedia da bar la pittrice ebrea Ameliè Moruk. Aveva delle calze di seta larghe per le sue magre gambe e splendenti, quasi fluoroscenti. Aveva tentato di sedurmi una volta con quel vecchio trucco delle calze seducenti... Ma non c'era riuscita...
   "Vuoi comprarmi quel mio quadro a olio dell'albero di ulivo?", mi fa.
   "Non ho soldi", gli dico.
   "Beh, puoi pagarmi in natura", fa lei.
   Le calze le risplendono quasi avessero delle lampadine accese dentro.
   "In cosa? In olio o vino?", dico io, alludendo oscuramente ai miei vari mestieri di contadino.
   "Possibilmente in tutt'e due", fa lei, come al solito senza mai mollare un colpo.
   Lei era la madre di Betty Page, e erano state al manicomio tutt'e due. Madre e figlia. Tra di loro ero capitato proprio io, come un fico fiorone un pò passato di maturazione.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO