lunedì 8 luglio 2013

UN BAR PIENO DI ROBOT

    Ero in un bar di periferia. Erano tutti dei robot là dentro. Pensavo così di esserlo anch'io.
    "Devi fare quello che dice il padrone", mi ha detto il cameriere.
    "Quale padrone?", ho chiesto.
    "Il padrone di tutto, ovvio", ha detto lui.
    "E che dice il padrone?", ho detto io.
    "Devi pagare tutti i tuoi soldi e non devi prendere niente", ha detto lui.
     Erano tutti degli automi, le facce di latta, lo sguardo fisso e allucinato. Si muovevano con gesti assolutamente meccanici. Sembravano dei mimi bravissimi, ma non era mimi. Anche le loro voci erano innaturali, come prodotte da un computer.
     "Non posso mettermi a discutere con questa gente", mi son detto. "Sono così fuori che di certo non capiscono più niente".
     "Allora, paghi?", mi ha detto l'automa cameriere.
     "Mi dispiace, non ci ho una lira", ho detto io e il bello era che era assolutamente vero. Ero entrato lì alla ricerca di un mio amico che mi desse qualche decino. E invece avevo trovato tutto quel delirio.
    "Allora ti tocca andartene", mi ha detto quello che certamente aveva qualche marchingegno elettronico e aveva verificato a distanza la veridicità delle mie parole.
    "Con sommo piacere", ho detto io e me ne sono andato.
     Mi dispiaceva solo per un motivo andarmene, che non gli avevo chiesto se si divertivano in quel posto. Ma era pure una domanda inutile, a vedere le loro facce la risposta era più che evidente.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

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