sogni, schizzi inconsci, resoconti surreali dal vero, incubi a uso esclusivo della mia p$YcOànA£ì$t@ by Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
sabato 29 dicembre 2012
UNA DONNA DAVVERO ENORME (LA FIGLIA DI ANNINA)
Ero nella casa di Annina a dormire e se ne viene nel mio letto una donna altissima e enorme, non ce la facevo nemmeno ad abbracciarla.
"Chi sei?", le chiedo.
"La figlia di Annina", mi risponde lei.
"Ma sei davvero enorme", le dico.
"Non ti piaccio forse?", mi chiede lei.
"Per dir la verità sì", le dico io.
"E allora non parlar tanto e amami", dice lei.
Io l'abbraccio, ma mica ce la faccio a tenerla tutta.
Sono nel mio letto e lei davvero ci entra a fatica. E' troppo alta e grossa. Mai vista una donna del genere in tutta la mia vita.
Ora è bionda, ora è bruna. Mi sembra di averla vista in tv una volta, che prendeva a schiaffi una signora impertinente, ma non ne sono tanto sicuro.
giovedì 27 dicembre 2012
UN UOMO GRASSO SI ARRAMPICA SU UN MURO
C'era un uomo grasso che si arrampicava su un muro di una strada della vecchia Roma. Non so chi mai l'avesse mandato lì, ma era chiaro che rischiava la pelle a ogni minimo movimento.
"Ora casca", ho pensato io con grande paura per lui.
E infatti, cercando di superare un cornicione, l'uomo grasso perde l'equilibrio e cade rovinosamente giù, con un tonfo sordo, sul marciapiede.
Tutti si precipitano a soccorrerlo, e arriva una macchina per portarlo all'ospedale. Ma è troppo grosso e allora lo mettono sul sedile anteriore ma non possono chiudere lo sportello, e così la macchina si muove con l'uomo mezzo sporgente fuori.
Io mi avvicino e vedo che è ancora vivo, ma messo molto male, respira a fatica e ha degli strani spilloni penzolanti un pò dappertutto.
Là vicino arriva pure una bella ragazza con delle strane calze a fiori.
"Sono la sua attrice", dice. "Senza di me non può andare da nessuna parte".
Ma in macchina non c'è posto perchè l'uomo grasso occupa tutto lo spazio.
Allora arriva il regista e dice alla ragazza:
"Te ti pago io, e la scena non è ancora finita. Sei la mia modella favorita, e senza di te manco questo assurdo film su Roma ci sarebbe. Dai, che poi ti offro una cioccolata calda".
La macchina va, l'uomo grasso è messo molto male e ormai non capisce più niente.
martedì 25 dicembre 2012
SPILLO IN FACCIA A GRILLO
C'era un piccolo assembramento per strada e lì c'era il Grillo circondato dai suoi amici che intratteneva il pubblico.
C'era un losco individuo che gironzolava attorno a loro e che prima mi aveva confidato che voleva ficcare uno spillo in faccia al Grillo. Io allora dico della minaccia a una donna in tacchi a spillo e la mando ad avvisare l'uomo politico, ma quella gli gira solo attorno, poi va a dire la cosa al Grillo, che si mette a ridere e la prende in giro.
Dopo un pò il losco individuo fa un giro alla lontana attorno al capannello di amici e poi si avvicina all'improvviso di fronte e gli pianta un grosso spillo in faccia a Grillo.
Quello si accascia senza un lamento.
"Chiamate un'autombulanza! Chiamate un'autombulanza!", grida qualcuno.
L'autombulanza arriva ma il Grillo è già in piedi.
"Mi hanno fatto un buco in faccia? Sarà un buco da dove mi entreranno più voti in corpo. Che credono davvero di battermi con questi ridicoli trucchi?", dice.
Io volevo avvisarlo di persona, ma tanto lui non dava retta a nessuno.
Viene Luca di Palermo e io gli dico che per fare il governo ci sarà bisogno un pò di tutti. Lui mi guarda perplesso e mi prende per un traditore, ma un dubbio che io abbia ragione però glielo leggo chiaro negli occhi.
La donna con i tacchi a spillo dice:
"Quello spillo là somiglia proprio a un mio tacco".
E infatti lo spillo è a terra insanguinato, ed è sottile e lungo come i suoi tacchi...
C'era un losco individuo che gironzolava attorno a loro e che prima mi aveva confidato che voleva ficcare uno spillo in faccia al Grillo. Io allora dico della minaccia a una donna in tacchi a spillo e la mando ad avvisare l'uomo politico, ma quella gli gira solo attorno, poi va a dire la cosa al Grillo, che si mette a ridere e la prende in giro.
Dopo un pò il losco individuo fa un giro alla lontana attorno al capannello di amici e poi si avvicina all'improvviso di fronte e gli pianta un grosso spillo in faccia a Grillo.
Quello si accascia senza un lamento.
"Chiamate un'autombulanza! Chiamate un'autombulanza!", grida qualcuno.
L'autombulanza arriva ma il Grillo è già in piedi.
"Mi hanno fatto un buco in faccia? Sarà un buco da dove mi entreranno più voti in corpo. Che credono davvero di battermi con questi ridicoli trucchi?", dice.
Io volevo avvisarlo di persona, ma tanto lui non dava retta a nessuno.
Viene Luca di Palermo e io gli dico che per fare il governo ci sarà bisogno un pò di tutti. Lui mi guarda perplesso e mi prende per un traditore, ma un dubbio che io abbia ragione però glielo leggo chiaro negli occhi.
La donna con i tacchi a spillo dice:
"Quello spillo là somiglia proprio a un mio tacco".
E infatti lo spillo è a terra insanguinato, ed è sottile e lungo come i suoi tacchi...
LA BARA VUOTA DI MIO PADRE
Eravamo in una chiesa di Acquaviva e aspettavamo che a ognuno ci dessero i resti dei nostri cari. C'era tanta gente e ognuno se ne stava zitto, nel chiuso dei propri foschi pensieri.
A me dovevano dare i resti del mio povero padre Michele. Arriva il mio turno e mi danno una piccola bara, tipo un giocattolo, come una minuscola cassettina di colori a cera.
Qualcuno mi dice di aprirla per vedere cosa c'è dentro. Ci sono dei fili colorati intorno, come per una specie di ricamo. Io li tolgo e apro la piccola baretta. Dentro non c'è assolutamente niente, neanche un pò di polvere.
"Ehi, dico, mi avete fregato. Qui non c'è niente".
Il sagrestano scrolla le spalle.
"Che vuoi da me? Se non c'è niente vuol dire che la poca polvere sarà volata a un colpo di vento, o a un colpo di tosse di quel disgraziato del becchino", mi dice, con fare indifferente.
"Nemmeno un piccolo osso, neanche il più pallido resto", dico io. "Come è possibile?"
Gli altri, ho visto, qualcosa hanno trovato.
Si avvicina un parente di qualche altro morto e mi dice:
"Puoi chiedere i danni, se vuoi. Non è possibile che dei resti di un proprio caro non rimanga proprio nulla. La colpa è loro, e devono ripagarti".
Io resto lì, con la piccola bara aperta vuota in mano, e non so proprio cosa fare. Vorrei fare causa per vendicare mio padre, ma non so proprio se possa servire a qualcosa. Chissà dove sono finiti i miseri resti e la sua poca polvere...
A me dovevano dare i resti del mio povero padre Michele. Arriva il mio turno e mi danno una piccola bara, tipo un giocattolo, come una minuscola cassettina di colori a cera.
Qualcuno mi dice di aprirla per vedere cosa c'è dentro. Ci sono dei fili colorati intorno, come per una specie di ricamo. Io li tolgo e apro la piccola baretta. Dentro non c'è assolutamente niente, neanche un pò di polvere.
"Ehi, dico, mi avete fregato. Qui non c'è niente".
Il sagrestano scrolla le spalle.
"Che vuoi da me? Se non c'è niente vuol dire che la poca polvere sarà volata a un colpo di vento, o a un colpo di tosse di quel disgraziato del becchino", mi dice, con fare indifferente.
"Nemmeno un piccolo osso, neanche il più pallido resto", dico io. "Come è possibile?"
Gli altri, ho visto, qualcosa hanno trovato.
Si avvicina un parente di qualche altro morto e mi dice:
"Puoi chiedere i danni, se vuoi. Non è possibile che dei resti di un proprio caro non rimanga proprio nulla. La colpa è loro, e devono ripagarti".
Io resto lì, con la piccola bara aperta vuota in mano, e non so proprio cosa fare. Vorrei fare causa per vendicare mio padre, ma non so proprio se possa servire a qualcosa. Chissà dove sono finiti i miseri resti e la sua poca polvere...
VENDEMMIA IN SICILIA
Eravamo andati a fare la campagna della vendemmia in Sicilia. E ogni giorno ce ne stavamo già di prima mattina tra i tralci e i filari infiniti a lavorare. Io arrivavo con un grosso camion che era ancora buio. Poi andavamo in un casolare a riscaldarci e mangiarci un pò di pane con i peperoni sott'olio. E ai primi bagliori del giorno eravamo con gli altri braccianti nelle vigne a vendemmiare. Ognuno aveva un proprio filare e era categoricamente vietato aiutare i propri compagni nel proprio lavoro caso mai qualcuno rimaneva indietro. Io naturalmente ero un pò scarso, e rimanevo indietro, e per svuotare il secchio pieno di grappoli ero costretto a fare più strada degli altri e così il mio ritardo rispetto agli altri aumentava sempre di più.
A un certo punto viene il mezzadro, un tipo feroce con una faccia di demonio, e mi dice:
"Te, vattene a casa. Non sei capace di lavorare come gli altri. Fai perdere troppo tempo".
"Gli altri lavorano in due per ogni filare, io da solo, grazie alla minchia che rimango indietro", dico io.
Quello mi fa, tutto inferocito:
"VIA! Prima che faccio uno sproposito".
"Con vero piacere", dico io e abbandono lì la forbice per vendemmiare e il secchio mezzo pieno.
Tutti i braccianti si voltano a guardarmi.
Io allora me ne vado per le vigne infinite, rinunciando da subito a chiedere un passaggio ai camion carichi d'uva che andavano in paese.
Per le vie della campagna torno a casa, a piedi, in un cammino lungo quasi 30 chilometri. Ci arrivo che è sera inoltrata.
A un certo punto viene il mezzadro, un tipo feroce con una faccia di demonio, e mi dice:
"Te, vattene a casa. Non sei capace di lavorare come gli altri. Fai perdere troppo tempo".
"Gli altri lavorano in due per ogni filare, io da solo, grazie alla minchia che rimango indietro", dico io.
Quello mi fa, tutto inferocito:
"VIA! Prima che faccio uno sproposito".
"Con vero piacere", dico io e abbandono lì la forbice per vendemmiare e il secchio mezzo pieno.
Tutti i braccianti si voltano a guardarmi.
Io allora me ne vado per le vigne infinite, rinunciando da subito a chiedere un passaggio ai camion carichi d'uva che andavano in paese.
Per le vie della campagna torno a casa, a piedi, in un cammino lungo quasi 30 chilometri. Ci arrivo che è sera inoltrata.
mercoledì 12 dicembre 2012
LA CORRENTE DELLA STRADA
C'era Giorgio Bocca, mio vecchio collega spugna libraio. In paese c'era stato un mezzo alluvione e tutto era allagato. Tra la strada e il marciapiede scorreva addirittura un fiume.
"Attraversa! Attraversa!", mi urlava Giorgio Bocca, che era dall'altra parte del carrugio e che dovevo attraversare per andare a vendere libri con lui.
"Ho paura che la corrente mi trascini via!", gli dico io.
"Non è tanto forte! Non aver paura! Attraversa!", mi urla di nuovo Giorgio.
Io allora mi avventuro nelle acque, e con me altre persone. Come temevo la corrente del fiume è troppo forte e io ho paura di essere trascinato via. Vedo intanto con angoscia che parecchie persone, che avevano tentato la sorte con me, sono portate via dalla corrente e risucchiate senza pietà.
Io vado sotto, ma per fortuna Giorgio mi allunga una mano e mi salva.
"Hai visto che ce l'hai fatta?", mi dice.
"Ma vaffanculo!", gli dico io tutto trafelato e inzuppato. "Un altro pò e annegavo!"
Effettivamente potevo aspettare una mezz'oretta e la furia della corrente sarebbe passata. E potevo attraversare la strada senza pericoli.
Penso a quelle persone che sono morte per il semplice motivo di attraversare una strada della minchia...
"Attraversa! Attraversa!", mi urlava Giorgio Bocca, che era dall'altra parte del carrugio e che dovevo attraversare per andare a vendere libri con lui.
"Ho paura che la corrente mi trascini via!", gli dico io.
"Non è tanto forte! Non aver paura! Attraversa!", mi urla di nuovo Giorgio.
Io allora mi avventuro nelle acque, e con me altre persone. Come temevo la corrente del fiume è troppo forte e io ho paura di essere trascinato via. Vedo intanto con angoscia che parecchie persone, che avevano tentato la sorte con me, sono portate via dalla corrente e risucchiate senza pietà.
Io vado sotto, ma per fortuna Giorgio mi allunga una mano e mi salva.
"Hai visto che ce l'hai fatta?", mi dice.
"Ma vaffanculo!", gli dico io tutto trafelato e inzuppato. "Un altro pò e annegavo!"
Effettivamente potevo aspettare una mezz'oretta e la furia della corrente sarebbe passata. E potevo attraversare la strada senza pericoli.
Penso a quelle persone che sono morte per il semplice motivo di attraversare una strada della minchia...
L'ELEMOSINA
Ero fermo a un passaggio a livello, e stavo aspettando il transito del treno, appoggiato a un parapetto.
Quando vedo venire nella stessa mia direzione mia sorella Frina, che portava uno dietro l'altro i miei genitori in carrozzina. Non so come facesse ma ci riusciva.
Passano davanti a me e mia sorella Frina mi dà, passando, mille lire. Mia madre mi dà un biglietto di cinquantamila lire. Mio padre nemmeno mi guarda e passano avanti.
Io mi ritrovo con questi soldi in mano e con raccapriccio mi dico:
"Mi hanno preso per un pezzente che cerca soldi e mi hanno dato l'elemosina".
Il treno arriva e se ne va alla stazione. Il passaggio a livello si alza e io resto fermo lì, impietrito dall'umiliazione, e allo stesso tempo dalla grande lezione che la vita mi ha dato.
Quando vedo venire nella stessa mia direzione mia sorella Frina, che portava uno dietro l'altro i miei genitori in carrozzina. Non so come facesse ma ci riusciva.
Passano davanti a me e mia sorella Frina mi dà, passando, mille lire. Mia madre mi dà un biglietto di cinquantamila lire. Mio padre nemmeno mi guarda e passano avanti.
Io mi ritrovo con questi soldi in mano e con raccapriccio mi dico:
"Mi hanno preso per un pezzente che cerca soldi e mi hanno dato l'elemosina".
Il treno arriva e se ne va alla stazione. Il passaggio a livello si alza e io resto fermo lì, impietrito dall'umiliazione, e allo stesso tempo dalla grande lezione che la vita mi ha dato.
LA FIERA DEL LIBRO MISTERIOSO
C'era una fiera del libro e ormai tutti i lettori erano andati via. E noi librai ci eravamo accampati alla meglio nel salone per passarci la notte. Al centro della sala c'era solo una lampadina che faceva una fioca luce su un solo libro.
Io mi ero preparato il letto e stavo per andare a dormire, ma quel libro mi faceva troppa curiosità. Così mi sono alzato e sono andato verso la luce della lampadina.
"Dove vai?", mi ha chiesto un libraio che conoscevo solo di vista e che dormiva su un lettino di fortuna accanto a me.
"Vado a gabinetto", gli ho detto, e ho deviato dal mio cammino. Non volevo proprio dirgli di quel libro.
Ma andando al gabinetto ho notato con mio grande disappunto che tutti i librai non ambivano che a quel libro misterioso e non dormivano in attesa del momento opportuno per sgraffignarselo.
Così ho pensato di andare dritto alla luce della lampadina e scoprire così finalmente il motivo di tanta generale bramosia.
Tutti mi guardavano, per vedere se avrei avuto davvero fegato abbastanza per andare a prendere quel libro e leggere finalmente di che si trattava.
Io sono andato, ormai avevo rotto ogni indugio. Vado sotto la lampadina, prendo il libro e leggo:
"COME DIVENTARE IL PIU' GRANDE UOMO DEL MONDO IN 15 MINUTI", edizioni il Grande Vecchio.
Allora ho messo a posto il libro e me ne sono andato a letto tranquillo.
Tutti i miei colleghi librai allora hanno tirato un sospiro di sollievo, e si sono messi a tramare di nascosto ognuno a danno dell'altro su chi tra loro il più furbo sarebbe mai riuscito a prendersi quel libro senza farsi accorgere.
Io mi ero preparato il letto e stavo per andare a dormire, ma quel libro mi faceva troppa curiosità. Così mi sono alzato e sono andato verso la luce della lampadina.
"Dove vai?", mi ha chiesto un libraio che conoscevo solo di vista e che dormiva su un lettino di fortuna accanto a me.
"Vado a gabinetto", gli ho detto, e ho deviato dal mio cammino. Non volevo proprio dirgli di quel libro.
Ma andando al gabinetto ho notato con mio grande disappunto che tutti i librai non ambivano che a quel libro misterioso e non dormivano in attesa del momento opportuno per sgraffignarselo.
Così ho pensato di andare dritto alla luce della lampadina e scoprire così finalmente il motivo di tanta generale bramosia.
Tutti mi guardavano, per vedere se avrei avuto davvero fegato abbastanza per andare a prendere quel libro e leggere finalmente di che si trattava.
Io sono andato, ormai avevo rotto ogni indugio. Vado sotto la lampadina, prendo il libro e leggo:
"COME DIVENTARE IL PIU' GRANDE UOMO DEL MONDO IN 15 MINUTI", edizioni il Grande Vecchio.
Allora ho messo a posto il libro e me ne sono andato a letto tranquillo.
Tutti i miei colleghi librai allora hanno tirato un sospiro di sollievo, e si sono messi a tramare di nascosto ognuno a danno dell'altro su chi tra loro il più furbo sarebbe mai riuscito a prendersi quel libro senza farsi accorgere.
venerdì 30 novembre 2012
IL CHIOSCO DEGLI ARROSTICINI
Me ne andavo per una strada innevata. Era sera tardi, e là vicino c'era una piazza dove c'era un chiosco che vendeva arrosticini. C'era poca gente e tra loro anche un mio amico che parlava con un suo parente.
"Devo ancora laurearmi", diceva. "Ma ho solo 30 anni, certo devo sbrigarmi ma in qualche anno ce la faccio a completare gli studi".
"E in cosa devi laurearti?", gli chiede il parente.
"In medicina", risponde il mio amico.
"Ah, bene. Così almeno ce la farai a curarti se diventi dottore", gli dice quello ridendo.
Io allora mi compro una razione di arrosticini e me ne vado via, mangiando pigramente.
"Se tutti i parenti sono come quello là, io preferirei di gran lunga non avercela nemmeno una famiglia", penso.
La strada è tutta piena di neve, è buio e fa un freddo della miseria. Però vicino al chiosco degli arrosticini si stava bene al calduccio.
"Devo ancora laurearmi", diceva. "Ma ho solo 30 anni, certo devo sbrigarmi ma in qualche anno ce la faccio a completare gli studi".
"E in cosa devi laurearti?", gli chiede il parente.
"In medicina", risponde il mio amico.
"Ah, bene. Così almeno ce la farai a curarti se diventi dottore", gli dice quello ridendo.
Io allora mi compro una razione di arrosticini e me ne vado via, mangiando pigramente.
"Se tutti i parenti sono come quello là, io preferirei di gran lunga non avercela nemmeno una famiglia", penso.
La strada è tutta piena di neve, è buio e fa un freddo della miseria. Però vicino al chiosco degli arrosticini si stava bene al calduccio.
giovedì 29 novembre 2012
UN LETTO SULLA STRADA
Mi sono svegliato e il mio letto era su un marciapiede di una strada molto affollata e con un traffico di auto del diavolo.
La gente mi passava attorno e non mi badava minimamente. Allora io mi sono alzato e ho cercato le mie scarpe sotto il letto che miracolosamente erano ancora là. Mi sono vestito e ho rassettato il letto, ho messo a posto le coperte e mi sono guardato intorno. Nessuno badava a me.
Allora con noncuranza mi sono allontanato, ma c'erano un nugolo di balconi e di verande che mi impedivano di accedere alla strada dove volevo andare, una strada di paese polverosa e secondaria. E così saltando le verande mi sono ritrovato in una casa non mia.
"Ehi, vedi un pò cosa vuole quel tipo là", ha detto un tizio a sua moglie.
Quella mi ha guardato e ha detto:
"E cosa vuoi che possa volere? Vorrà qualcosa da mangiare".
"No, no. Ho solo sbagliato strada. Scavalcando verande per errore son arrivato qua", ho detto io con stizza.
Così ho subito riscavalcato la loro veranda e ho guadagnato in fretta, superando ancora un altro balcone, la mia strada polverosa e secondaria di paese.
La gente mi passava attorno e non mi badava minimamente. Allora io mi sono alzato e ho cercato le mie scarpe sotto il letto che miracolosamente erano ancora là. Mi sono vestito e ho rassettato il letto, ho messo a posto le coperte e mi sono guardato intorno. Nessuno badava a me.
Allora con noncuranza mi sono allontanato, ma c'erano un nugolo di balconi e di verande che mi impedivano di accedere alla strada dove volevo andare, una strada di paese polverosa e secondaria. E così saltando le verande mi sono ritrovato in una casa non mia.
"Ehi, vedi un pò cosa vuole quel tipo là", ha detto un tizio a sua moglie.
Quella mi ha guardato e ha detto:
"E cosa vuoi che possa volere? Vorrà qualcosa da mangiare".
"No, no. Ho solo sbagliato strada. Scavalcando verande per errore son arrivato qua", ho detto io con stizza.
Così ho subito riscavalcato la loro veranda e ho guadagnato in fretta, superando ancora un altro balcone, la mia strada polverosa e secondaria di paese.
mercoledì 28 novembre 2012
LE MANI DI UN MARINAIO
Eravamo andati a Taranto per delle pratiche all'Arsenale riguardanti il nostro servizio militare in Marina. Ci eravamo dati appuntamento alla stazione di Bari e poi là, eseguite le procedure burocratiche, eravamo ritornati e ci stavamo salutando. Ci facevamo delle fotografie ricordo perchè forse quella era l'ultima volta che ci vedevamo.
C'era il mio vecchio amico Errani, e io gli avevo fatto una foto di profilo, mentre un altro marò gli faceva la foto di faccia.
Ci salutiamo e poi ognuno se ne va per conto suo. Ci sono anche molti genitori che accompagnano i marinai in congedo.
Sul binario della stazione vedo che è ormeggiata una piccola nave da guerra e io vado lì vicino per vedere se caso mai hanno bisogno di un marinaio armaiolo. Ma la nave è aperta al pubblico ed è piena di gente, così decido di aspettare finchè almeno tutti i civili se ne sono andati via. I marinai a bordo offrono da mangiare e così penso che le cose vadano per le lunghe. La nave è davvero piena di gente che sale e scende da tutte le scale dei vari ponti.
Mi metto ad aspettare appoggiato indolente a una colonna del binario della stazione, e a un certo punto si avvicina una ragazza, una biondina carina, forse tedesca. Forse è proprio Doris Schwald
"Mi fai vedere le mani?", mi dice.
Io gliele mostro. Lei le guarda con attenzione, nel palmo aperto e sul dorso.
Poi mi dice:
"Sono molto curate per essere delle mani di marinaio".
"Dici? Guarda che io sono un marinaio armaiolo e le mani mi diventano nere quando lavoro con olio meccanico e pezze piene di carbone esplosivo", le dico. "E poi sono anche contadino, dopo due giorni di lavoro in campagna mi diventano dure come tavolacci".
Ma quella se n'è già andata via, in un bar sul binario con certi suoi amici di viaggio, o forse proprio suoi amanti.
Nel frattempo il pubblico è sceso tutto dalla nave, e quella ha immediatamente levato gli ormeggi e sta guadagnando l'imboccatura del porto scostandosi lentamente dal binario della stazione.
Quella balorda con le sue assurde chiacchiere sulle mie mani mi ha fatto perdere intanto un probabile imbarco, di cui io avevo molto bisogno.
C'era il mio vecchio amico Errani, e io gli avevo fatto una foto di profilo, mentre un altro marò gli faceva la foto di faccia.
Ci salutiamo e poi ognuno se ne va per conto suo. Ci sono anche molti genitori che accompagnano i marinai in congedo.
Sul binario della stazione vedo che è ormeggiata una piccola nave da guerra e io vado lì vicino per vedere se caso mai hanno bisogno di un marinaio armaiolo. Ma la nave è aperta al pubblico ed è piena di gente, così decido di aspettare finchè almeno tutti i civili se ne sono andati via. I marinai a bordo offrono da mangiare e così penso che le cose vadano per le lunghe. La nave è davvero piena di gente che sale e scende da tutte le scale dei vari ponti.
Mi metto ad aspettare appoggiato indolente a una colonna del binario della stazione, e a un certo punto si avvicina una ragazza, una biondina carina, forse tedesca. Forse è proprio Doris Schwald
"Mi fai vedere le mani?", mi dice.
Io gliele mostro. Lei le guarda con attenzione, nel palmo aperto e sul dorso.
Poi mi dice:
"Sono molto curate per essere delle mani di marinaio".
"Dici? Guarda che io sono un marinaio armaiolo e le mani mi diventano nere quando lavoro con olio meccanico e pezze piene di carbone esplosivo", le dico. "E poi sono anche contadino, dopo due giorni di lavoro in campagna mi diventano dure come tavolacci".
Ma quella se n'è già andata via, in un bar sul binario con certi suoi amici di viaggio, o forse proprio suoi amanti.
Nel frattempo il pubblico è sceso tutto dalla nave, e quella ha immediatamente levato gli ormeggi e sta guadagnando l'imboccatura del porto scostandosi lentamente dal binario della stazione.
Quella balorda con le sue assurde chiacchiere sulle mie mani mi ha fatto perdere intanto un probabile imbarco, di cui io avevo molto bisogno.
martedì 27 novembre 2012
GIOVANNI E LE POESIE
Ero in un paese sconosciuto e andavo da una strada all'altra senza raccapezzarmi più di tanto. Mi sembrava di essere in Messico, ma non ero tanto sicuro. C'erano con me due o tre amici. Roberto Longhi e anche Giovanni Fraccascia.
Giovanni in particolare aveva portato con sè un gran fascio di sue poesie e su un tavolo le sovrapponeva le une sulle altre.
"Giovanni, amico mio, stai attento con le poesie a non sovrapporle le une sulle altre, altrimenti le confondi tra di loro e poi non ti ci raccapezzerai più", gli ho detto.
Ma lui non mi ascoltava e continuava a mettere i fogli delle poesie gli uni sugli altri mischiando l'ordine e la numerazione.
Ho lasciato perdere.
"Ognuno fa a suo modo", ho pensato. "E l'esperienza degli altri non serve a nessuno".
Poi è venuto Roberto e ha detto:
"Ehi, Giuan, Jusep, non avete fame voi?"
Così siamo andati in un bar e ci siamo fatti dei panini con le acciughe marinate.
Il paese era sulle montagne messicane e per tornare al mare dovevamo prendere un treno scalcagnato.
A un certo punto ho notato che Giovanni non aveva più le sue poesie.
"Ehi, Giuan, e le poesie? Che ne hai fatto? Le hai perse per caso?", gli ho detto.
"Macchè! Le ho buttate", ha detto lui.
"Minchia, ma perchè?", ho detto io.
"Erano brutte, e poi i carmi non danno il pane", ha detto lui.
Non gli ho detto più niente, io prima non sapevo nemmeno che lui scrivesse poesie.
Giovanni in particolare aveva portato con sè un gran fascio di sue poesie e su un tavolo le sovrapponeva le une sulle altre.
"Giovanni, amico mio, stai attento con le poesie a non sovrapporle le une sulle altre, altrimenti le confondi tra di loro e poi non ti ci raccapezzerai più", gli ho detto.
Ma lui non mi ascoltava e continuava a mettere i fogli delle poesie gli uni sugli altri mischiando l'ordine e la numerazione.
Ho lasciato perdere.
"Ognuno fa a suo modo", ho pensato. "E l'esperienza degli altri non serve a nessuno".
Poi è venuto Roberto e ha detto:
"Ehi, Giuan, Jusep, non avete fame voi?"
Così siamo andati in un bar e ci siamo fatti dei panini con le acciughe marinate.
Il paese era sulle montagne messicane e per tornare al mare dovevamo prendere un treno scalcagnato.
A un certo punto ho notato che Giovanni non aveva più le sue poesie.
"Ehi, Giuan, e le poesie? Che ne hai fatto? Le hai perse per caso?", gli ho detto.
"Macchè! Le ho buttate", ha detto lui.
"Minchia, ma perchè?", ho detto io.
"Erano brutte, e poi i carmi non danno il pane", ha detto lui.
Non gli ho detto più niente, io prima non sapevo nemmeno che lui scrivesse poesie.
lunedì 26 novembre 2012
RIUNIONE GENERALE PER IL BENE DELLA CITTA'
C'era una grossa riunione di persone che dovevano decidere come aiutare la città. Tutti erano pieni di idee ma nessuno osava mettere nemmeno un centesimo sul piatto per far andare avanti il progresso e il bene di tutti.
"Signori", ha detto all'improvviso Groucho Marx. " Io per conto mio metto una risata. Chi offre di più?"
Nessuno ha offerto di più.
Groucho Marx s'è rivelato il più generoso di tutti.
Allora io tra lo stupore generale ho detto:
"Io offro la mia bottiglia di vino. E' tutto quello che ho, non posseggo nemmeno un bicchierino in più".
Allora tutti si sono offesi, e se ne sono andati via senza rivolgermi nemmeno un saluto.
Allora Groucho Marx ha detto:
"Poichè sei rimasto solo tu farò ridere solo te".
Ha preso una ragazza pin-up che l'accompagnava e ha cominciato a farle una predica, quella non capiva niente e la scena faceva ridere.
Le diceva di mettere 10 dollari per comprare un trenino e far giocare tranquillo il sindaco della città, ma la ragazza non ne voleva sapere niente.
Io i 10 dollari non li avevo, e così sono andato a pulirmi il frigorifero della mia cucina. Era pieno di ghiaccio ed effettivamente un pò di freddo lo sentivo anch'io.
In città era buio, pioveva e tutti avevano un pò di raffreddore.
"Signori", ha detto all'improvviso Groucho Marx. " Io per conto mio metto una risata. Chi offre di più?"
Nessuno ha offerto di più.
Groucho Marx s'è rivelato il più generoso di tutti.
Allora io tra lo stupore generale ho detto:
"Io offro la mia bottiglia di vino. E' tutto quello che ho, non posseggo nemmeno un bicchierino in più".
Allora tutti si sono offesi, e se ne sono andati via senza rivolgermi nemmeno un saluto.
Allora Groucho Marx ha detto:
"Poichè sei rimasto solo tu farò ridere solo te".
Ha preso una ragazza pin-up che l'accompagnava e ha cominciato a farle una predica, quella non capiva niente e la scena faceva ridere.
Le diceva di mettere 10 dollari per comprare un trenino e far giocare tranquillo il sindaco della città, ma la ragazza non ne voleva sapere niente.
Io i 10 dollari non li avevo, e così sono andato a pulirmi il frigorifero della mia cucina. Era pieno di ghiaccio ed effettivamente un pò di freddo lo sentivo anch'io.
In città era buio, pioveva e tutti avevano un pò di raffreddore.
sabato 24 novembre 2012
LUNA DI MIELE IN UN POLLAIO
Allora prendo le uova e furtivamente cerco di allontanarmi.
"Ehi, te! Ti abbiamo visto sai che rubi le uova a tuo padre!", mi dice Thomas Zi'Ruck.
Io allora, scoperto, torno indietro con le uova in mano.
"Sì, va beh! Ma voi che minchia ci fate a dormire nella stalla di mio padre?", dico loro.
"Eh, ci siamo sposati di contrabbando e non abbiamo mica dove andare a dormire... E così siamo venuti qui a passare la prima notte di nozze", mi dicono.
"Beh, parecchio originale una luna di miele in un pollaio...", dico io e smammo via a fare colazione con 4 belle uova fresche.
Alla faccia di mio padre!
venerdì 23 novembre 2012
DUE MORETTINE
Ero in un grande quartiere in costruzione. Palazzi, casermoni, grattacieli. Lì cercavo casa ma volevano molti soldi e io non ce la facevo a prendere niente.
Venivano tanti impiegati, funzionari, arruffamatasse di tutti i generi, ma non c'era proprio niente da fare: casa per me non ce n'era.
Quando all'improvviso arrivano due ragazzine, molto more, che con quattro chiacchiere e due moine in quattro e quattro otto ottengono la casa in men che non si dica, e senza tirare dalla tasca nemmeno un centesimo.
"Ecco qui, anche due ragazzine, con le loro smorfie da tre soldi, ora mi sorpassano e mi spingono di lato con estrema facilità", penso con tristezza.
La casa non me la danno e allora io me ne torno in campagna, dove ho la mia capanna e faccio tranquillo le mie cose.
Ma ecco che le due ragazzine sono anche lì, vado da loro e chiedo che è successo, perchè sono andate via dalla città in costruzione anche loro.
"Ci hanno chiesto una roba che non potevamo assolutamente dar loro", mi dicono ridendo. "E così abbiamo ridato indietro la loro casa di plastica e ci siamo riprese le nostra libertà".
"Cosa vi hanno chiesto?", chiedo io.
"Ah! L'amore! Ma mica è nostro l'amore! L'amore appartiene solo a Dio, gli uomini possono solo fare le bestie se ci tengono così tanto", e lì son scoppiate a ridere e poi se ne sono scappate via correndo tra le zolle nere del campo appena arato e gli alberi verdi del confine del campo...
Venivano tanti impiegati, funzionari, arruffamatasse di tutti i generi, ma non c'era proprio niente da fare: casa per me non ce n'era.
Quando all'improvviso arrivano due ragazzine, molto more, che con quattro chiacchiere e due moine in quattro e quattro otto ottengono la casa in men che non si dica, e senza tirare dalla tasca nemmeno un centesimo.
"Ecco qui, anche due ragazzine, con le loro smorfie da tre soldi, ora mi sorpassano e mi spingono di lato con estrema facilità", penso con tristezza.
La casa non me la danno e allora io me ne torno in campagna, dove ho la mia capanna e faccio tranquillo le mie cose.
Ma ecco che le due ragazzine sono anche lì, vado da loro e chiedo che è successo, perchè sono andate via dalla città in costruzione anche loro.
"Ci hanno chiesto una roba che non potevamo assolutamente dar loro", mi dicono ridendo. "E così abbiamo ridato indietro la loro casa di plastica e ci siamo riprese le nostra libertà".
"Cosa vi hanno chiesto?", chiedo io.
"Ah! L'amore! Ma mica è nostro l'amore! L'amore appartiene solo a Dio, gli uomini possono solo fare le bestie se ci tengono così tanto", e lì son scoppiate a ridere e poi se ne sono scappate via correndo tra le zolle nere del campo appena arato e gli alberi verdi del confine del campo...
giovedì 22 novembre 2012
INTERVISTA PER UNA RADIO DI MONTAGNA
"Sarà per me un'intervista molto sentita e vissuta con vera passione", ho detto io.
Lei si era seduta proprio alla mia sedia e mi guardava con la luce alle spalle, così che io non potessi fissarla tanto bene.
"Lei scrive libri importanti?", mi ha subito chiesto lei.
"Se per importanti intende libri molto grossi, ebbene sì scrivo libri importanti. Beh, almeno per me lo sono", ho risposto io.
Lei allora non mi ha chiesto più niente ma mi ha lasciato parlare a ruota libera, così come veniva veniva.
Io ho parlato per almeno due ore, di filosofia, economia, crisi finanziaria, vuoto esistenziale, decadenza della scuola, i greci, il rinascimento e via discorrendo...
Alla fine l'hanno chiamata dalla radio e le hanno detto che il tempo era scaduto e che la sua giornata lavorativa era finita da un pezzo.
Allora lei si è alzata, mi ha salutato a malapena e se ne è andata.
Io ho fatto appena in tempo a salutarla che era già sparita, comunque ho fatto in tempo a guardarle un'ultima volta le belle gambe...
Era una bionda, una giornalista vestita molto eroticamente per perdere troppo tempo a far domande...
IL DRAGONE
C'era un dragone in piazza dalle mille braccia e in ogni grinfia aveva stretta una donna, così che roteava nell'aria un vero circo umano.
"Ehi, tipo, ma non è che gli fai del male a quelle donne a tenerle aggrinfiate così strette tra le tue unghiacce?", gli ho detto io, guardandolo dal basso in alto, ma per nulla intimorito dalle sue ciclopiche dimensioni.
"E a te che ti frega?", ha detto lui, sputando tutt'intorno fuoco e fiamme. Una maniera come un'altra per dirmi di farmi i fatti miei.
"Guarda che se fai loro del male ti costringo a metterle giù", gli dico allora io.
"Ah, sì? E come pensi di riuscirci?", mi fa lui, ghignando come un demonio.
"Chiamo i carabinieri e ti denuncio", dico io.
"Ah! I carabinieri! Ah! Ah! Ah!", si mette a ridere lui.
Vorticava le sue lunghissime e numerosissime braccia con ognuna tra le grinfie una donna. Era uno spettacolo grandioso e terribile. E io non potevo farci niente per farlo cessare. Là intorno non c'era nessuno, nemmeno un vigile urbano, nemmeno un pompiere, nessuno che mi potesse lontanamente dare una mano a fronteggiare e a far venire a più miti pretese il drago.
Le donne si facevano male, eccome se si facevano male. Ma la gente era contenta di assistere a quel mostruoso e incredibile spettacolo, e non pensava minimamente a protestare o a almeno tentare di far smettere quella bestiaccia lì.
"Vai a casa, amico, altrimenti quel mostro ti ammazza", mi ha detto qualcuno che forse ha avuto pietà di me, che cercavo a tutti i costi un modo di costringere quella fiera di metter giù le donne.
Allora mi son fermato. Ho visto il dragone dalle mille braccia procedere lungo la strada e allontanarsi indisturbato sempre vorticando nell'aria le donne nel suo spettacolo da circo mondiale, spettrale e ferale e straordinario a un tempo.
"Ehi, tipo, ma non è che gli fai del male a quelle donne a tenerle aggrinfiate così strette tra le tue unghiacce?", gli ho detto io, guardandolo dal basso in alto, ma per nulla intimorito dalle sue ciclopiche dimensioni.
"E a te che ti frega?", ha detto lui, sputando tutt'intorno fuoco e fiamme. Una maniera come un'altra per dirmi di farmi i fatti miei.
"Guarda che se fai loro del male ti costringo a metterle giù", gli dico allora io.
"Ah, sì? E come pensi di riuscirci?", mi fa lui, ghignando come un demonio.
"Chiamo i carabinieri e ti denuncio", dico io.
"Ah! I carabinieri! Ah! Ah! Ah!", si mette a ridere lui.
Vorticava le sue lunghissime e numerosissime braccia con ognuna tra le grinfie una donna. Era uno spettacolo grandioso e terribile. E io non potevo farci niente per farlo cessare. Là intorno non c'era nessuno, nemmeno un vigile urbano, nemmeno un pompiere, nessuno che mi potesse lontanamente dare una mano a fronteggiare e a far venire a più miti pretese il drago.
Le donne si facevano male, eccome se si facevano male. Ma la gente era contenta di assistere a quel mostruoso e incredibile spettacolo, e non pensava minimamente a protestare o a almeno tentare di far smettere quella bestiaccia lì.
"Vai a casa, amico, altrimenti quel mostro ti ammazza", mi ha detto qualcuno che forse ha avuto pietà di me, che cercavo a tutti i costi un modo di costringere quella fiera di metter giù le donne.
Allora mi son fermato. Ho visto il dragone dalle mille braccia procedere lungo la strada e allontanarsi indisturbato sempre vorticando nell'aria le donne nel suo spettacolo da circo mondiale, spettrale e ferale e straordinario a un tempo.
venerdì 16 novembre 2012
L'ETERNA PARTENZA VERSO TERRE IGNOTE DELLO SCRITTORE DI PAESE
C'era un grande raduno ad Acquaviva, in piazza. E là, sul palco ero stato chiamato io a tenere una conferenza. Si parlava del solito provincialismo da festa della cipolla e del panzerotto fritto, e su come aumentare naturalmente l'altezza di tutti i campanili del paese sulle restanti ville antiquate dei paesi vicini. Io ero sui tavoli posteriori del palco ma comunque chiamarono pure me a dire le mie panzane.
Quando mi accorgo che è nelle vicinanze, presso un bar, Doris Schwald con due vecchie zie. Non so cosa sia venuta a fare, ma forse a vedere cosa combino io. E' un mio vecchio furore, fatto di tanto nulla e di tanta meschinità. Ma anche di tanta pazzia e spensieretezza.
Io intanto finisco la mia conferenza e come al solito devo partire per Milano. Vado alla stazione e là mi accompagnano tanti vecchi amici, ma pure tanti giovani.
"Se non fate ora quello per cui vi si infiamma il cuore quando vorrete mai farlo? Nella prossima vita?", dico loro.
Tanti sono scontenti della loro esistenza in paese ma sono troppo deboli di carattere per tentare almeno di cambiarla, oppure più prosaicamente non vogliono rinunciare alle mille comodità che pure il paese riesce a garantire, nonostante la noia e la pigrizia generale.
Sembrano venuti in tanti per seguirmi ma poi all'atto pratico tutti si tirano indietro.
Chi deve obbedire ai suoi genitori, chi non vuole lasciare la sua fidanzata, chi gli piacciono troppo le orecchiette con le braciole al sugo...
Alla fine resta che devo partire, come al solito, solo io. Io rimango un pò deluso, per dire la verità, perchè un pò di compagnia durante il viaggio mi sarebbe piaciuto averla, ma tant'è, sono pure abituato con piacere alla mia santa solitudine.
Arriva il treno, saluto tutti e monto in carrozza.
Il treno parte pigramente verso il Nord e io vado a cercami posto nei primi vagoni. Ma lì mi accorgo che la mia vecchia fiamma Doris Schwald ha trovato posto pure lei con le sue due vecchie zie, di cui una mi sembra che sia proprio la madre.
Allora torno indietro perchè non voglio incontrarla. Per vergogna, credo, o per estrema voglia di solitudine. Tanto, comunque, non ho niente da dirle.
Penso alla mia vita e al suo tanto vuoto. E mi viene l'idea che forse avrei fatto bene, tanti anni fa, a restarmene al paese anch'io. Certo, ma non avrei di sicuro vissuto la mia folle vita di scrittore allo sbaraglio come la sto sempre vivendo da quando m'è venuto quel lumicino della ragione verso i 17 anni...
"Se non si vive la propria vita che senso ha vivere quella degli altri?", mi ricordo di aver pensato, e così mi son messo tranquillo nella mia eterna solitudine.
Il treno andava piano verso Bari, ma tanto non c'era mica nessuna fretta...
"Scriverò, amici, qualche poemetto anche per voi..."
E intanto si parte, si parte per combinare chissà che cosa... e poi quasi nessuno viene a spulciare tra le tue carabattole che con tanta passione hai messo su alla maniera di un monumento nazionale...
Chissà, chissà... se un giorno un nostro romanzo arriverà a New York...
Il treno, mezzo arrugginito, comunque va... con le nostre vecchie amanti da qualche parte in carrozza...
Quando mi accorgo che è nelle vicinanze, presso un bar, Doris Schwald con due vecchie zie. Non so cosa sia venuta a fare, ma forse a vedere cosa combino io. E' un mio vecchio furore, fatto di tanto nulla e di tanta meschinità. Ma anche di tanta pazzia e spensieretezza.
Io intanto finisco la mia conferenza e come al solito devo partire per Milano. Vado alla stazione e là mi accompagnano tanti vecchi amici, ma pure tanti giovani.
"Se non fate ora quello per cui vi si infiamma il cuore quando vorrete mai farlo? Nella prossima vita?", dico loro.
Tanti sono scontenti della loro esistenza in paese ma sono troppo deboli di carattere per tentare almeno di cambiarla, oppure più prosaicamente non vogliono rinunciare alle mille comodità che pure il paese riesce a garantire, nonostante la noia e la pigrizia generale.
Sembrano venuti in tanti per seguirmi ma poi all'atto pratico tutti si tirano indietro.
Chi deve obbedire ai suoi genitori, chi non vuole lasciare la sua fidanzata, chi gli piacciono troppo le orecchiette con le braciole al sugo...
Alla fine resta che devo partire, come al solito, solo io. Io rimango un pò deluso, per dire la verità, perchè un pò di compagnia durante il viaggio mi sarebbe piaciuto averla, ma tant'è, sono pure abituato con piacere alla mia santa solitudine.
Arriva il treno, saluto tutti e monto in carrozza.
Il treno parte pigramente verso il Nord e io vado a cercami posto nei primi vagoni. Ma lì mi accorgo che la mia vecchia fiamma Doris Schwald ha trovato posto pure lei con le sue due vecchie zie, di cui una mi sembra che sia proprio la madre.
Allora torno indietro perchè non voglio incontrarla. Per vergogna, credo, o per estrema voglia di solitudine. Tanto, comunque, non ho niente da dirle.
Penso alla mia vita e al suo tanto vuoto. E mi viene l'idea che forse avrei fatto bene, tanti anni fa, a restarmene al paese anch'io. Certo, ma non avrei di sicuro vissuto la mia folle vita di scrittore allo sbaraglio come la sto sempre vivendo da quando m'è venuto quel lumicino della ragione verso i 17 anni...
"Se non si vive la propria vita che senso ha vivere quella degli altri?", mi ricordo di aver pensato, e così mi son messo tranquillo nella mia eterna solitudine.
Il treno andava piano verso Bari, ma tanto non c'era mica nessuna fretta...
"Scriverò, amici, qualche poemetto anche per voi..."
E intanto si parte, si parte per combinare chissà che cosa... e poi quasi nessuno viene a spulciare tra le tue carabattole che con tanta passione hai messo su alla maniera di un monumento nazionale...
Chissà, chissà... se un giorno un nostro romanzo arriverà a New York...
Il treno, mezzo arrugginito, comunque va... con le nostre vecchie amanti da qualche parte in carrozza...
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NAPOLEONE A MONTECASSINO
Ero a passeggiare in un viale di una grande città con Giampiero Mux. Mi diceva:
"Ma qui la gente va in controsenso, non dovrebbe essere consentito. Dovrebbe essere ben vietato di andare contro le persone che passeggiano per conto loro, lungo il corso regolare del loro cammino".
Come a farlo apposta c'era sull'altro lato del corso Napoleone Buonaparte, con il suo cappotto di battaglia e il suo famoso cappello della rivoluzione. Era basso di statura ma ben fiero nella sua postura.
Giampietro Mux va da lui a fare le sue rimostranze:
"La gente non dovrebbe andare in controsenso, dovrebbe essere proibito. Che ne dice, Generale Buonaparte?", gli fa a Napoleone.
"Io sto pensando ai miei ragazzi che per conquistare una mezza stanza di una casa su a Montecassino, son caduti in 4.000. Capisci? Cosa vuoi che mi interessi se la gente va dalla parte sbagliata del corso?", dice Napoleone, con un fare triste oltre ogni dire.
E si volta dall'altra parte e si rimette subito a pensare ai fatti suoi.
"Ma qui la gente va in controsenso, non dovrebbe essere consentito. Dovrebbe essere ben vietato di andare contro le persone che passeggiano per conto loro, lungo il corso regolare del loro cammino".
Come a farlo apposta c'era sull'altro lato del corso Napoleone Buonaparte, con il suo cappotto di battaglia e il suo famoso cappello della rivoluzione. Era basso di statura ma ben fiero nella sua postura.
Giampietro Mux va da lui a fare le sue rimostranze:
"La gente non dovrebbe andare in controsenso, dovrebbe essere proibito. Che ne dice, Generale Buonaparte?", gli fa a Napoleone.
"Io sto pensando ai miei ragazzi che per conquistare una mezza stanza di una casa su a Montecassino, son caduti in 4.000. Capisci? Cosa vuoi che mi interessi se la gente va dalla parte sbagliata del corso?", dice Napoleone, con un fare triste oltre ogni dire.
E si volta dall'altra parte e si rimette subito a pensare ai fatti suoi.
giovedì 15 novembre 2012
UNA SEDUTA
Arrivo allo studio e la trovo truccatissima. Mi fa un certo effetto, lo devo ammettere.
Forse vuole una storia, penso. Le storie le chiamano transfert loro. Il latino è sempre la lingua dei vincitori, penso.
Dopo i soliti convenevoli mi fa sdraiare sul divano. C'è un profumo erotico nell'aria. Non so se è della paziente prima di me o proprio suo. Decido di fregarmene.
"Mi dica tutto quello che le passa per la mente", mi dice lei come al solito.
"Tutto?", dico io, facendo come al solito il fesso.
"Sì, proprio tutto. Mi deve dire sempre tutto, anche le cose che a lei possono sembrare insignificanti", dice lei.
"Anche le parolacce?", dico io.
"Se le pensa, anche quelle", dice lei.
"Anche le robe sconvenienti?", dico io.
"Tutto", taglia corto lei.
Io mi sistemo meglio sul divano. E' proprio un buon profumo. E' suo. Ora che è dietro di me ne son sicuro, è troppo forte. Era truccatissima. Dietro di me. Un eros da capogiro. Ma... dovevo fare la seduta...
"Una volta una ragazza, una mia amica di liceo, mi ha detto che se uno vuole davvero guarire da una storia d'amore fallita deve andare a cinema e vedersi 10 volte lo stesso film, se si riconosce in almeno un attore della storia allora può tornarsene a casa tranquillo. Io ho visto 10.000 volte lo stesso film, e mi sono riconosciuto in tutti i personaggi della storia", ho detto.
"Qual era questo film?", ha detto lei.
"Stalingrado", ho detto io...
Forse vuole una storia, penso. Le storie le chiamano transfert loro. Il latino è sempre la lingua dei vincitori, penso.
Dopo i soliti convenevoli mi fa sdraiare sul divano. C'è un profumo erotico nell'aria. Non so se è della paziente prima di me o proprio suo. Decido di fregarmene.
"Mi dica tutto quello che le passa per la mente", mi dice lei come al solito.
"Tutto?", dico io, facendo come al solito il fesso.
"Sì, proprio tutto. Mi deve dire sempre tutto, anche le cose che a lei possono sembrare insignificanti", dice lei.
"Anche le parolacce?", dico io.
"Se le pensa, anche quelle", dice lei.
"Anche le robe sconvenienti?", dico io.
"Tutto", taglia corto lei.
Io mi sistemo meglio sul divano. E' proprio un buon profumo. E' suo. Ora che è dietro di me ne son sicuro, è troppo forte. Era truccatissima. Dietro di me. Un eros da capogiro. Ma... dovevo fare la seduta...
"Una volta una ragazza, una mia amica di liceo, mi ha detto che se uno vuole davvero guarire da una storia d'amore fallita deve andare a cinema e vedersi 10 volte lo stesso film, se si riconosce in almeno un attore della storia allora può tornarsene a casa tranquillo. Io ho visto 10.000 volte lo stesso film, e mi sono riconosciuto in tutti i personaggi della storia", ho detto.
"Qual era questo film?", ha detto lei.
"Stalingrado", ho detto io...
UNA PERFIDA SECCHIONA
A quella festa c'era pure il Dottor Katzone che raccontava a tutti come al solito tutta la sua vita.
"Michelangelo ha dipinto un gigante che separa i dannati dai santi, io sono un dannato ma mi hanno dannato gli altri. Allora io per ripagarmi mi son messo in testa di dannare almeno lo stesso numero di persone che mi hanno buttato all'inferno. Faccio bene?", diceva.
La gente non sapeva mai che rispondergli e allora si buttava sulla pasta e sui bicchieri di vino che son sempre stati più buoni da trattare che quei folli di mente degli uomini tutti...
Il gigante è sempre il padre, pensavo io per i fatti miei, stando ben attento a non ficcarmi imprudentemente nei labirinti imperscrutabili altrui.
Ma a un tratto si avvicina una zombie e mi fa secca:
"E la tua tipa dov'è?"
Minchia, e che ne sa questa loffia di te?, penso. Che ne può mai sapere?
Dice che ti conosce, che ti parla, che si confida. Io ci rimango letteralmente seccato. Fucilato. Obnubilato.
Il mezzo litro di vino scadente che mi son inspiegabilmente bevuto mi sale di botto alla testa e mi fa vedere i fumi degli spari di cannone che mi sta tirando in pancia quella saraca lì.
Per fortuna torna Mister Katzone e con i suoi deliri devia le traiettorie di tutte quelle stronzate che mi sta vomitando addosso quella megera ruffiana.
"Lo sai che Michelangelo ha dipinto un colosso che separa gli uomini buoni da quelli cattivi? E io sono tra quelli cattivi che qualche demonio vuole buttare negli abissi. Secondo te è giusto? Secondo me no. Io così ho deciso che poichè qualcun'altro ha deciso di farmi stare tra i cattivi, io allora mi metto a fare il cattivo di mia volontà così magari ci trovo qualche gusto nuovo. Tu che dici?", sibila in un fiato il Dottor Katzone.
"Sei sadomaso tu?", gli dice quella beduina con gli occhi a melacotogna.
"No, milanese", dice quello che ha bevuto a stufo per tutta la sera gin e coca.
La tipa non fa una grinza, volta il culo e sparisce.
Ma davvero ti conosceva?
Chissà cosa ti verrà a raccontare quando ti incontrerà di nuovo...
Per consolarmi della figura di merda mi son mangiato 10 piatti di pasta. Mi sono ingozzato per riempire un vuoto siderale dentro di me.
"Ora ci vorrebbero un bel paio di panini con porchetta", ha detto alla fine il Dottor Katzone, quando s'è reso conto che nessuna ragazza della festa si filava lui e la sua assurda storia del gigante dipinto da Michelangelo.
"Michelangelo ha dipinto un gigante che separa i dannati dai santi, io sono un dannato ma mi hanno dannato gli altri. Allora io per ripagarmi mi son messo in testa di dannare almeno lo stesso numero di persone che mi hanno buttato all'inferno. Faccio bene?", diceva.
La gente non sapeva mai che rispondergli e allora si buttava sulla pasta e sui bicchieri di vino che son sempre stati più buoni da trattare che quei folli di mente degli uomini tutti...
Il gigante è sempre il padre, pensavo io per i fatti miei, stando ben attento a non ficcarmi imprudentemente nei labirinti imperscrutabili altrui.
Ma a un tratto si avvicina una zombie e mi fa secca:
"E la tua tipa dov'è?"
Minchia, e che ne sa questa loffia di te?, penso. Che ne può mai sapere?
Dice che ti conosce, che ti parla, che si confida. Io ci rimango letteralmente seccato. Fucilato. Obnubilato.
Il mezzo litro di vino scadente che mi son inspiegabilmente bevuto mi sale di botto alla testa e mi fa vedere i fumi degli spari di cannone che mi sta tirando in pancia quella saraca lì.
Per fortuna torna Mister Katzone e con i suoi deliri devia le traiettorie di tutte quelle stronzate che mi sta vomitando addosso quella megera ruffiana.
"Lo sai che Michelangelo ha dipinto un colosso che separa gli uomini buoni da quelli cattivi? E io sono tra quelli cattivi che qualche demonio vuole buttare negli abissi. Secondo te è giusto? Secondo me no. Io così ho deciso che poichè qualcun'altro ha deciso di farmi stare tra i cattivi, io allora mi metto a fare il cattivo di mia volontà così magari ci trovo qualche gusto nuovo. Tu che dici?", sibila in un fiato il Dottor Katzone.
"Sei sadomaso tu?", gli dice quella beduina con gli occhi a melacotogna.
"No, milanese", dice quello che ha bevuto a stufo per tutta la sera gin e coca.
La tipa non fa una grinza, volta il culo e sparisce.
Ma davvero ti conosceva?
Chissà cosa ti verrà a raccontare quando ti incontrerà di nuovo...
Per consolarmi della figura di merda mi son mangiato 10 piatti di pasta. Mi sono ingozzato per riempire un vuoto siderale dentro di me.
"Ora ci vorrebbero un bel paio di panini con porchetta", ha detto alla fine il Dottor Katzone, quando s'è reso conto che nessuna ragazza della festa si filava lui e la sua assurda storia del gigante dipinto da Michelangelo.
UNA STRANA SPOSA AL BAR
"Scusa, mi sai dire che ore sono?"
Io mi son detto:
"Questa qui si è appena sposata e già si vuole buttare all'avventura con il primo che gli capita... Sarà di certo una poco di buono...".
E' stato allora che ho guardato l'orologio per sapere che ore erano e l'orologio non aveva le lancette. Era un orologio muto.
E lei mi fa:
"E allora? Me lo dici o no che ore sono?"
"Non so. L'orologio non funziona", ho farfugliato io.
"Sì, sì, non funziona... Mi sa tanto che sei te che non funzioni", ha detto lei con alquanta sicumera.
"Ma insomma... Già sei mezza nuda, ti sei appena sposata e già cerchi l'approccio con il primo crocchio d'uova che ti si para davanti?", dico io alquanto risentito.
"Ehi, babbione! Ma che dici? Sei tu che perdi tempo e non sai che fare. Non sai che una donna appena la sposi vuol fare l'amore?", dice lei.
"Tu sei matta. Io son venuto qui per farmi un caffè. Trovo te seduta su un divano del bar che fai la fessa vestita da sposa e mi vuoi far credere che ti ho sposato io?", dico io.
"Proprio così", dice lei.
Io la guardo. E' proprio una bella ragazza. E' matta, sicuramente, ma mi piace.
"Ma sei certa di quel dici?", faccio.
"Sì, tanto tu hai sbagliato strada, io pure, così forse ci siamo incontrati qui. Dovrebbe funzionare", dice lei.
"Ma incontrarsi e andar d'accordo non è la stessa cosa", dico io.
"Ma non siamo mica noi che dobbiamo andar d'accordo", dice lei.
"No? E chi allora?", dico io.
"Loro", dice lei.
Non so a chi si riferisce.
Lei socchiude gli occhi, ammiccante, e poi dice:
"I sess".
mercoledì 14 novembre 2012
IL CORVO IN INDIA
Eravamo in India lungo un corso di città infinito, tutto pieno di mendicanti che ci cercavano l'elemosina. Io e il Corvo, avevamo finito i soldi, ma i bambini con in braccio altri bambini erano davvero ossessionanti. Non eravamo ricchi, avevamo dato fondo a tutti i nostri averi, ma la povertà del mondo era certo molto più grande della nostra minuscola generosità. Le mani ci tremavano dall'angoscia, intorno a noi la normale follia di lambrette e vacche che si avviavano alla loro velocissima e lentissima vita quotidiana.
Il Corvo mi disse:
"Io parto domani, non ce la faccio più a reggere tutta questa miseria. Il mio cuore non regge più di un paniere per volta".
"Il mio forse regge fino a due panieri, ma non è mica tanto più forte del tuo", dissi io.
Il Corvo partì il giorno dopo.
Io sono ancora qui che devo riempire ancora il mio secondo paniere.
Il cervello gestisce sempre il proprio libero arbitrio con una volontà che va sempre tra il nulla e l'infinito, come d'altronde un pò tutte le cose...
Il Corvo mi disse:
"Io parto domani, non ce la faccio più a reggere tutta questa miseria. Il mio cuore non regge più di un paniere per volta".
"Il mio forse regge fino a due panieri, ma non è mica tanto più forte del tuo", dissi io.
Il Corvo partì il giorno dopo.
Io sono ancora qui che devo riempire ancora il mio secondo paniere.
Il cervello gestisce sempre il proprio libero arbitrio con una volontà che va sempre tra il nulla e l'infinito, come d'altronde un pò tutte le cose...
martedì 13 novembre 2012
UN COMICO A WEMBLEY
C'era lo stadio di Wembley stracolmo di gente. C'era la partita del secolo tra Italia e Inghilterra per la finale del campionato del mondo dell'intero millennio.
Entra in campo il famoso deputato comico Antonio De Curtis.
"Voi non sapete chi sono io, ma per dir la verità non lo so neanche io, così siamo pari: 1 a 1 e palla a centro...", comincia a dire.
Ma lo stadio intero comincia a fischiarlo, vogliono i giocatori alla partita quelli, non un comico venuto dalla città degli spaghetti al pomodoro più famosa del mondo...
"Ve l'avevo detto io di non far battute che non capisce nessuno allo stadio Wembley di Londra. Qui la migliore battuta che si possa fare è un gol nella porta", dice Fabius Capellus, famoso allenatore di squadre di calcio.
La partita comincia.
L'Inghilterra parte in quarta e già al primo tiro becca il palo.
In contropiede l'Italia batte un fallo e centra una gran gnocca...
L'Italia vince all'ultimo minuto con un tiro di piatto con gli spaghetti ormai scotti...
Totò gira un film nuovo là, già nello stadio pieno: "Una pizza è sempre una pizza"...
Fabius Capellus lo chiamano a fare l'allenatore di Cina, India e Russia contemporaneamente... Lui accetta e incassa 4 tonnellate d'oro...
Entra in campo il famoso deputato comico Antonio De Curtis.
"Voi non sapete chi sono io, ma per dir la verità non lo so neanche io, così siamo pari: 1 a 1 e palla a centro...", comincia a dire.
Ma lo stadio intero comincia a fischiarlo, vogliono i giocatori alla partita quelli, non un comico venuto dalla città degli spaghetti al pomodoro più famosa del mondo...
"Ve l'avevo detto io di non far battute che non capisce nessuno allo stadio Wembley di Londra. Qui la migliore battuta che si possa fare è un gol nella porta", dice Fabius Capellus, famoso allenatore di squadre di calcio.
La partita comincia.
L'Inghilterra parte in quarta e già al primo tiro becca il palo.
In contropiede l'Italia batte un fallo e centra una gran gnocca...
L'Italia vince all'ultimo minuto con un tiro di piatto con gli spaghetti ormai scotti...
Totò gira un film nuovo là, già nello stadio pieno: "Una pizza è sempre una pizza"...
Fabius Capellus lo chiamano a fare l'allenatore di Cina, India e Russia contemporaneamente... Lui accetta e incassa 4 tonnellate d'oro...
lunedì 12 novembre 2012
ANTISTENE ALLA TERRA DEL FUOCO
C'era una riunione di redazione di un giornale politico, e avevano chiamato pure me a partecipare per preparare il numero del giorno dopo.
C'era il grande capataz Massimino D'Alano, il grande capo fallito e rifallito. Mi aveva dato un passaggio tanti anni prima al porto di Bari, e da quel tempo non l'avevo visto più.
"Hanno scritto un articolo su un giornale argentino della Terra del Fuoco, dove si racconta che in Italia si campa di elemosina come ai tempi di Antistene, e pure secondo i dettami di quel filosofo capo indiscusso di tutti gli straccioni del mondo. Chi vuole rispondere?", dice lui.
La ciurma della redazione al completo rimane zitta. Allora io alzo la mano e dico: "Rispondo io".
"Bene", dice il capataz. "Poi vedrai che scriveremo qualcosa anche sui tuoi libri".
"Troppa grazia, Sant'Antonio", dico io.
"Beh, potevo anche ricordarmi prima di partecipare a queste riunioni di redazioni della minchia", penso.
Apro il computer e clicco su Word, documento di 20 cm x 5cm. Un articoletto sciropposo ci entra bene.
E così dico un pò a tutti, anche se per la verità nessuno più mi stava a sentire:
"In primo luogo Antistene è greco e allora il suo pensiero ha a che fare con la Grecità e non con l'Italia, anche se certe attinenze senza dubbio ci sono, così il grande giornale sconosciuto della Terra del Fuoco sono da rigettare al mittente, che di greco, latino e ostrogoto italiota capisce come il cane di teologia..."...
Poi rifletto e mi dico:
"Ma chi l'ha mai letto questo giornale sconosciuto di una landa remota argentina come la Terra del Fuoco? Questo grande lider fallito se n'è andato all'aceto, è rincoglionito, è diventato pazzo alla fine... Eppure vuole scrivere articoli su di me... E' un pazzo totale, ormai... L'hanno messo già in pensione, ho saputo, per quanto vale così tanto...".
Continuo a scrivere l'articolo ma senza molta convinzione...
C'era il grande capataz Massimino D'Alano, il grande capo fallito e rifallito. Mi aveva dato un passaggio tanti anni prima al porto di Bari, e da quel tempo non l'avevo visto più.
"Hanno scritto un articolo su un giornale argentino della Terra del Fuoco, dove si racconta che in Italia si campa di elemosina come ai tempi di Antistene, e pure secondo i dettami di quel filosofo capo indiscusso di tutti gli straccioni del mondo. Chi vuole rispondere?", dice lui.
La ciurma della redazione al completo rimane zitta. Allora io alzo la mano e dico: "Rispondo io".
"Bene", dice il capataz. "Poi vedrai che scriveremo qualcosa anche sui tuoi libri".
"Troppa grazia, Sant'Antonio", dico io.
"Beh, potevo anche ricordarmi prima di partecipare a queste riunioni di redazioni della minchia", penso.
Apro il computer e clicco su Word, documento di 20 cm x 5cm. Un articoletto sciropposo ci entra bene.
E così dico un pò a tutti, anche se per la verità nessuno più mi stava a sentire:
"In primo luogo Antistene è greco e allora il suo pensiero ha a che fare con la Grecità e non con l'Italia, anche se certe attinenze senza dubbio ci sono, così il grande giornale sconosciuto della Terra del Fuoco sono da rigettare al mittente, che di greco, latino e ostrogoto italiota capisce come il cane di teologia..."...
Poi rifletto e mi dico:
"Ma chi l'ha mai letto questo giornale sconosciuto di una landa remota argentina come la Terra del Fuoco? Questo grande lider fallito se n'è andato all'aceto, è rincoglionito, è diventato pazzo alla fine... Eppure vuole scrivere articoli su di me... E' un pazzo totale, ormai... L'hanno messo già in pensione, ho saputo, per quanto vale così tanto...".
Continuo a scrivere l'articolo ma senza molta convinzione...
domenica 11 novembre 2012
LA COLPA DAVANTI A SE STESSI
Ma che è successo alla mia vita?
E' diventato tutto così senza sbocco.
Ero con un maglione verde, che mia madre aveva rovinato lavandolo, l'avevo pagato una sterlina a un mercato rionale di Londra, nuovissimo, di pura lana scozzese. E me ne stavo lì, senza far niente, in attesa di licenziarmi da quell'assurdo lavoro di impiegato di cazzate in un ufficio fatto di nulla più qualche altra nullità annessa.
Si mangiavano spaghetti di plastica conditi con sugo di olio meccanico. Uno schifo che manco i pezzenti si mangiano alle mense dei poveri. Coca-cola calda come brodo, da sputarla appena assaggiata. Tutti in piedi, come ebrei in attesa di scappare da un massacro incipiente.
La ditta dei panzerotti fritti, dei bicchieri rotti e delle chiacchere lessate.
Lo spettacolo erano due ragazze che se le davano di santa ragione, il biglietto costava un occhio della testa e uno sconquasso nel portafoglio. Io ero lì per fare il rendiconto delle fotocopie per un libro su un violentatore pazzo di prossima pubblicazione sulle bacheche professionali dei lingotti d'oro editoriali nazionali.
Falliti, picchiatori, balordi, schizzati di cervello. Tutti però, per una ragione o per l'altra, parecchio in grana.
Va bene, facciamo questo rendiconto, tanto la stronza che mi dovrà pagare si farà telefonare 3000 volte prima di farlo, perchè l'hanno fatta presidentessa e se la tira un casino ora.
Tutto, ma trovarti lì nella parte della bagorda legata e traviata, non l'avevo affatto preventivato.
Sarà il caso che fa il demonio nella vita di tutti.
"IL CLUB DELLE VIOLENTATE PROFESSIONISTE", così si chiamava il numero di cabaret da 4 soldi.
Ho avuto pazienza, non ho deluso i miei datori di lavoro bastardi e figli di puttana.
Chi ci capisce qualcosa è bravo di questa vita.
E' tutto un gioco, e la scrittura serve per guarire, dice sempre la mia psicoanalista. Lei guarisce di sicuro con 100 euro a botta senza mai fare un cazzo se non ascoltare le mie minchiate insignificanti.
Il mistero fa sempre colpo, intanto. Quando non capisci un cazzo e ti metti a pensare per 2 o 3 giorni di seguito è un colpo giornalistico sensazionale per la nostra maledetta coscienza con il dannato problema della colpa davanti a se stessi...
...Ma se il mondo è così miserevole chi mai può aver colpa?...
... Solo farsi tristemente qualche risata si può per almeno tentare di salvarsi...
E' diventato tutto così senza sbocco.
Ero con un maglione verde, che mia madre aveva rovinato lavandolo, l'avevo pagato una sterlina a un mercato rionale di Londra, nuovissimo, di pura lana scozzese. E me ne stavo lì, senza far niente, in attesa di licenziarmi da quell'assurdo lavoro di impiegato di cazzate in un ufficio fatto di nulla più qualche altra nullità annessa.
Si mangiavano spaghetti di plastica conditi con sugo di olio meccanico. Uno schifo che manco i pezzenti si mangiano alle mense dei poveri. Coca-cola calda come brodo, da sputarla appena assaggiata. Tutti in piedi, come ebrei in attesa di scappare da un massacro incipiente.
La ditta dei panzerotti fritti, dei bicchieri rotti e delle chiacchere lessate.
Lo spettacolo erano due ragazze che se le davano di santa ragione, il biglietto costava un occhio della testa e uno sconquasso nel portafoglio. Io ero lì per fare il rendiconto delle fotocopie per un libro su un violentatore pazzo di prossima pubblicazione sulle bacheche professionali dei lingotti d'oro editoriali nazionali.
Falliti, picchiatori, balordi, schizzati di cervello. Tutti però, per una ragione o per l'altra, parecchio in grana.
Va bene, facciamo questo rendiconto, tanto la stronza che mi dovrà pagare si farà telefonare 3000 volte prima di farlo, perchè l'hanno fatta presidentessa e se la tira un casino ora.
Tutto, ma trovarti lì nella parte della bagorda legata e traviata, non l'avevo affatto preventivato.
Sarà il caso che fa il demonio nella vita di tutti.
"IL CLUB DELLE VIOLENTATE PROFESSIONISTE", così si chiamava il numero di cabaret da 4 soldi.
Ho avuto pazienza, non ho deluso i miei datori di lavoro bastardi e figli di puttana.
Chi ci capisce qualcosa è bravo di questa vita.
E' tutto un gioco, e la scrittura serve per guarire, dice sempre la mia psicoanalista. Lei guarisce di sicuro con 100 euro a botta senza mai fare un cazzo se non ascoltare le mie minchiate insignificanti.
...Ma se il mondo è così miserevole chi mai può aver colpa?...
... Solo farsi tristemente qualche risata si può per almeno tentare di salvarsi...
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