martedì 27 novembre 2012

GIOVANNI E LE POESIE

    Ero in un paese sconosciuto e andavo da una strada all'altra senza raccapezzarmi più di tanto. Mi sembrava di essere in Messico, ma non ero tanto sicuro. C'erano con me due o tre amici. Roberto Longhi e anche Giovanni Fraccascia.
    Giovanni in particolare aveva portato con sè un gran fascio di sue poesie e su un tavolo le sovrapponeva le une sulle altre.
     "Giovanni, amico mio, stai attento con le poesie a non sovrapporle le une sulle altre, altrimenti le confondi tra di loro e poi non ti ci raccapezzerai più", gli ho detto.
     Ma lui non mi ascoltava e continuava a mettere i fogli delle poesie gli uni sugli altri mischiando l'ordine e la numerazione.
    Ho lasciato perdere. 
    "Ognuno fa a suo modo", ho pensato. "E l'esperienza degli altri non serve a nessuno".
    Poi è venuto Roberto e ha detto:
     "Ehi, Giuan, Jusep, non avete fame voi?"
    Così siamo andati in un bar e ci siamo fatti dei panini con le acciughe marinate.
    Il paese era sulle montagne messicane e per tornare al mare dovevamo prendere un treno scalcagnato.
     A un certo punto ho notato che Giovanni non aveva più le sue poesie.
     "Ehi, Giuan, e le poesie? Che ne hai fatto? Le hai perse per caso?", gli ho detto.
    "Macchè! Le ho buttate", ha detto lui.
    "Minchia, ma perchè?", ho detto io.
    "Erano brutte, e poi i carmi non danno il pane", ha detto lui.
    Non gli ho detto più niente, io prima non sapevo nemmeno che lui scrivesse poesie.

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