sabato 10 novembre 2012

UNA CENA MOLTO PARTICOLARE

    Ero a tavola che cenavo con una mia amica di liceo che mi aveva sempre filato e che io avevo mandato sempre in buca. La sala da pranzo era dignitosa e anche abbastanza ben arredata, anche se in definitiva una certa puzza di povertà aleggiava nell'aria incombente e fatale.
    Si cenava a base di fette di pane spalmate con cioccolata di nutella, latte e altri biscotti di vario genere.
    "Beh, almeno è una cena di certo molto originale. Solo che invece di essere una cena è una colazione, ma non si può certo avere tutto nella vita. L'importante è che ci sia qualcosa da mangiare almeno", ho pensato con un certo disappunto ma pure con un certo divertimento.
    "Pensavo che venivi stamattina, e invece sei venuto stasera", mi ha detto lei a mò di scusa.
    "Eh, hai ragione, non sono mai stato un tipo molto puntale", ho detto io.
    "Infatti, sono solo dieci anni di ritardo", ha detto lei.
    Io me ne son rimasto zitto, perchè effettivamente non sapevo di che parlava. Sembravamo sposati, ma io non mi ricordavo assolutamente di averla sposata. Possibile che m'ero scordato di una cosa così importante della mia vita? Probabilmente sì, sapevo di essere un tipo molto distratto e anche abbastanza scordarolo, ma non certo fino a questo punto.
    E mentre cenavamo abbastanza tranquilli, anche se in un certo qual modo anche abbastanza inquietamente, un urlo è venuto da una stanza vicina.
    Io sono sobbalzato di brutto.
    "Chi è che ha urlato in maniera così disumana?", ho chiesto.
    Quella che sembrava mia moglie, ma di cui non ricordavo minimamente nemmeno il nome, se non vagamente che una volta aveva frequentato il liceo con me, e nemmeno nella stessa classe, ma in una inferiore di un anno, ma di cui per il resto ignoravo praticamente tutto, mi ha detto:
    "Il nostro inquilino".
    Io me ne sono meravigliato assai.
    "Abbiamo un inquilino?", ho chiesto.
    "Sì", ha detto lei.
    "E chi è?", ho chiesto.
    "Nostro figlio", ha detto lei.
    Io avrei voluto chiederle con tutto me stesso se davvero avevamo fatto un figlio, e quando, e dove, e se si era mai curata almeno di farmelo sapere se non vedere, ma mi resi conto in un attimo che era tutto inutile. Io non mi ricordavo nulla, e che allora sarebbe stato proprio un dialogo tra sordi, ciechi, muti.
    Così, con un fare il più naturale possibile, ho mangiato la mia ultima fetta di pane con la nutella e mi sono alzato.
    "Vado al lavoro ora", le ho detto.
    "A quest'ora? E' tardissimo", ha detto lei.
    "Faccio il turno di notte", ho detto io.
    Lei ha annuito con un'aria tristemente rassegnata.
    Ho preso il cappotto, che fuori era inverno e faceva molto freddo, e me ne sono andato via.
    Non ci siamo nemmeno salutati. Tanto ci conoscevamo così intensamente che non sapevamo nemmeno i nostri nomi, per tacere del resto.
    Fuori faceva troppo freddo. Me ne sono andato alla fermata del tram e era davvero molto tardi: non ne passavano più. Allora io mi sono incamminato con buona lena verso casa. Non sapevo dov'era, ma sicuramente ce ne sarebbe stata da qualche parte una...  Milano è così grande...
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