martedì 17 dicembre 2013

LA FAVOLA DELLA PULCE E DEL LEONE

LA FAVOLA DELLA PULCE E DEL LEONE
Una volta una pulce disse al leone: "Mi hai copiato la ferocia, maledetto! Ora ti voglio diffamare nel mondo intero!"
   Questa pulce si credeva pure padrona di una carrozza, che era un povero cane là vicino. 
  "Ma chi parla qui intorno?, disse il leone. Non vedo nessuno".
   Allora la pulce lo morse a sangue, ma il leone era davvero un tipo tosto, sentì un pizzichino, quello sì, ma poi più niente. Si alzò, si scrollò con vigore la folta criniera e la pulce fu ignominiosamente scaraventata via dalla sua splendente pelliccia.
    La pulce allora, che era pure una perfetta fuori di testa in incognito, saltò sulla sua vecchia carrozza, che era sempre il povero cane, e se ne andò verso il suo destino, che era quello di essere schiacciata da un'altra perfetta fuori di testa come lei assolutamente in incognito.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

p.s. un vero scrittore sa sempre difendersi con le sue stesse parole da qualsiasi attacco, anche il più fraudolento, e non ha mai bisogno di rivolgersi agli avvocati per questo, pur essendo nel suo diritto....

lunedì 16 dicembre 2013

L'INFAME

   C'era una discesa vorticosa come in un dedalo di vicoli di una città straniera. E lì davanti a me andava un mio amico letterato, io ogni tanto gli lanciavo una palla come per farlo cadere come un birillo. Lui in realtà era un rampollo di una ricca famiglia milanese e in passato mi aveva fatto del male, infamandomi con le sue luride menzogne davanti ad altri amici comuni per via delle patrie lettere. Io l'avevo affrontato a muso duro e lui era scappato a gambe levate, poi, in seguito, era diventato uno dei miei migliori amici, ma io non mi ero mai più fidato di lui.
    Ora me lo ritrovavo davanti a me in una città straniera che andava di fretta davanti a me. Aveva paura di me ora. Io gli lanciavo i più vari oggetti rotolanti per farlo cadere, ma non riuscivo a beccarlo. La discesa ormai stava per finire in un largo spiazzo piano e io stavo perdendo la speranza di centrarlo. Mi restava un ultimo unico lancio prima della spianata. Così gli getto rotolando una bottiglia vuota di birra peroni, la bottiglia rotola, arriva dietro di lui e urtando contro un marciapiede si rompe in due pezzi, lui a sentire il rumore dei due cocci infranti si spaventa e cade. Beccato! Brutto maledetto pirla del demonio!
     Cade proprio come un birillo e io sono ultrarcicontento di averlo fatto cadere proprio come uno stupido balordo birillo.
     Ora comunque ci sono altri luridi infami che propalano schifose menzogne su di me. Ma che ci guadagnano? Perchè lo fanno? Io non faccio nulla di male a loro, nè a altri. Ma a qualcuno do fastidio con la mia semplice presenza al mondo e loro si vendicano. Gente ingozzata persa di male, che scaricano il loro vomito insopportabile sugli altri, senza motivo che la loro maligna follia, perchè forse è un peso troppo oneroso per sè soli e allora scaricano quello che possono sugli altri, e ci riescono pure. Ma il loro stesso male è la l'unica punizione possibile praticabile... E prenderli a pallate se caso mai li incontri in una discesa di una sconosciuta città straniera, nei sogni...
    Ma un infame rimane pur sempre una carogna impraticabile, nè di diritto nè di rovescio...
   E là intorno c'era pure una prostituta che adescava uomini danarosi con la scusa di uno studio psichico pieno di piante carnivore di tutte le specie della città... Li accompagnava pure personalmente dove volevano loro prima, per aumentare la tariffa, quest'altra imbamona... 
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO 

lunedì 21 ottobre 2013

LA MIRA COL CAMPANILE


     Me ne stavo in paese e in cielo c'erano stormi e stormi di uccelli in attesa di migrare. Intanto si tenevano in esercizio volando intorno al paese. C'erano lì tanti miei amici cacciatori che hanno cominciato a sparare per farsi una bella cena gustosa con 4 soldi. Ma sparavano e sparavano e non centravano nulla, perchè gli uccelli se la svignavano alla chetichella per tutto il cielo.
     Alla fine è venuto Tonio Montenegro che ha detto: "Ora vi faccio vedere io come si spara a un uccello senza essere visti".
    E così se n'è andato sotto un campanile in campagna e di là alzando a perpendicolo il suo fucile ha sparato a una anitra davvero grossa che proprio in quel momento stava volando alto nel bel cielo della campagna.
    L'anitra è stata colpita in pieno. E poi piano piano è planata giù in larghi giri. Si vedeva che era stata colpita e che per lei non c'era più niente da fare.
    Tonio ha detto: "Avete visto? Non si spara mai nel mucchio. Ma se ne prende di mira solo una e solo a quella si spara prendendo con molta cura l'incastro del fucile con la sua prevedibile direzione".
   Comunque aveva preso benissimo la mira aiutandosi con la perpendicolare diritta del campanile.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO 

giovedì 3 ottobre 2013

LADRI DI DONNE



    Ero in casa e sentivo armeggiare dietro la porta, come uno sfregamento di bottoni di cappotto sul muro.
    Ho pensato: "Son fuori casa, è difficile che mi entrino dentro".
    Naturalmente ho subito capito che erano dei ladri con intenzioni molto cattive. E così mi sono alzato e sono andato in corridoio, sentivo le voci troppo alte di tono per essere ancora di fuori.
    Sono uscito in corridoio e li ho trovati lì, due energumeni di stazza molto alta e imponente che stavano entrando nella stanza della mia fidanzata bionda.
    "Ehi, ehi, dove credete di andare?", ho detto loro e subito mi sono fiondato in cucina ad aggrinfiare un coltello molto affilato e lungo. Mi sono sorpreso che non me l'abbiano impedito. Ho preso il coltello e minacciandoli a muso duro li ho messi alla porta. Se avessi avuto una pistola avrei premuto il grilletto dietro le loro calcagna.
    "Mi volevano rubare la donna sti bastardi, altro che le scatolette di tonno", mi son detto.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

LA NAVE SULLA COLLINA




    Una nave entrò in porto e poi andò a sistemarsi su una collina. Era lì anche Alda che cercava una sistemazione per la sera e così tra tanti aveva scelto me. Gli altri le andavano dietro ma lei era a casa che voleva passare la notte.
    Un bambino volteggiava tra i balconi come un acrobata e io avevo paura per lui, ma con bravura lui sempre atterrava con maestria a terra.
    "Quella nave fa davvero impressione, tutta arrampicata lì sulla collina, i suoi marinai sono anche dei perfetti montanari, proprio come devono essere i poeti. Per mare e per terra c'è sempre la grande poesia", disse Alda.
    Anche casa mia era sulla collina e aveva un grande balcone, e lì è venuta Alda.
     Per cena volle 3 uova sode, con un pò di sale.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

lunedì 23 settembre 2013

LIVINGSTONE



    Me ne stavo in un gran palazzo dove era in corso una lunga e articolata festa di ragazzi. Io me ne andavo su e giù per le scale di quel poderoso edificio
curiosando sulle mille cose che lì avvenivano. 
   "Ehi, Joseph, guarda che stanno girando un film qui intorno, fatti vedere che qualcosa fanno fare pure a te", mi dice un mio amico.
    "OK, sta' sicuro che mi faccio vedere", dico io.
    Vado in un'altra sala ed è in corso un pranzo, c'è lì anche il giovane sindaco del mio paese, il famoso Re David. Io allora mi associo alla comitiva e cerco di mangiucchiare qualcosa anch'io.
    "Oh, lo sai che hanno rappresentato questa mattina il 'Livingstone'? Sì, proprio il tuo primo dramma teatrale!", mi dice Re David.
    "Ma come? E non mi dite niente? E' il mio primo dramma e non l'hanno mai rappresentato! Ora lo rappresentano e non mi dite niente? Come avete potuto?", mi rammarico io.
    "Poca paura, Joseph. Ora lo rappresentano di nuovo", mi dice Re David.
    "E dove?", chiedo io.
    "Di sotto, nella sala teatrale naturalmente", mi dice lui.
    Io allora lascio perdere il mio già scarno piatto di spaghetti e mi precipito nella sala teatrale di sotto, che già poco prima avevo avuto modo di notare in tutta la sua magnificenza e il suo splendore. Ero così contento, per la prima volta avrei visto rappresentato il mio "Livingstone".
    Per tutto il palazzo la festa dei ragazzi continua, con mille scherzi e mille lazzi. Sembrava che tutta la gioventù del paese fosse in festa.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

sabato 3 agosto 2013

I TRE SAMURAI

    Ero in Giappone, in una città di mare piena di strade surreali e metafisiche. Vi si svolgevano le Olimpiadi internazionali. E come prima gara avevano vinto tre samurai. Erano così saliti sul podio più alto della premiazione che era stato costruito sulla collina più alta della città. 
    Erano solo loro tre sul podio, al primo posto. Gli altri due podii erano vuoti perchè ancora si dovevano svolgere le gare.
    Io ero lì pieno di quadri da vendere, ma non ne avevo venduto nessuno. Anzi ne avevo perso uno, che raffigurava una ragazza bionda imbronciata. E così mi ero messo alla ricerca di questo quadro che non trovavo da nessuna parte, nemmeno sotto i ponti strani e incredibili di quella città.
   Poi sono tornato all'albergo e con mia somma sorpresa il mio quadro era lì. Non lo volevo vendere, il mio quadro di una ragazza bionda con gli occhi neri, che o sorrideva o era sempre imbronciata.
    I tre samurai erano sempre lì, sul podio più alto della città, erano stati loro a essere premiati per primi in tutta l'Olimpiade, e si godevano il momento restando quanto più era possibile su quel posto altissimo sulla collina. Io dalla finestra del mio albergo li potevo vedere ancora molto bene.
GIUSEPPE D'AMBROSIO

martedì 9 luglio 2013

IL GATTO NERO

Nerino, olio di Liisi Paasuke, 1996
    Certe volte mi sembra di essere un gatto. Un gatto nero, grosso e navigato. Un tipo certo da non raccomandarsi di andare a dirgli "miao, miao".
   Me ne sto nascosto negli angoli della città, e vado in giro esclusivamente di notte. Meno gente incontro nella mia vita meglio sto. Preferisco i tetti ma all'occorrenza mi accontento pure dei parchi. Quando mi apposto sotto le macchine son sicuro che non mi nota proprio nessuno. Quando incontro qualcuno me la filo alla chetichella e in tutta fretta nel primo buco oscuro che trovo. Meglio non fidarsi. Trascorro la mia vita di ramingo tra i palazzoni impresentabili della periferia e lì trovo la mia sapienza e la mia allegria. Di certo mi accontento di molto poco, ma quel poco me lo tengo stretto bene perchè so pure che è molto prezioso. Almeno per me, (che è come dire, almeno per un tipo come me, per tutti).
   Non so perchè son capitato qui ma ci sono capitato. E tutto sommato le notti, come diceva pure quel grande filosofo lì, son nere dappertutto. E per me certo così un posto vale l'altro.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

                                                       fine dell'idea di romanzo
                                                                                   "LA PSICOANALISTA"
                                                                                 Emersione di un inconscio
                                                                            di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
                                                                                         Libri Acquaviva

                                                                            altri romanzi di questo Autore
                                                                            li trovate su www.books.google.com
                                                                                   

LA COMUNE PSICOANALISI DEI LIBRI

    Quel che è scritto è scritto, tutte le altre parole se ne volano nel vento. La letteratura è ritoccare con arte la vita. Magari farla più bella. E' di certo un pensiero che ha la sua profonda motivazione. Lo scrittore poi è lo stregone maestro in questa arte di folli. La sua vita credo che abbia senso anche se lui non trova un bell'accidente. E anzi certe volte se ne dispera pure. Ma secondo me non ne ha eccessivo motivo. Lo scrittore ti fa incontrare tanta gente che tu manco t'immagini che esista. Ti dà argomenti, emozioni, sensazioni e in ultimo forse pure la bellezza che lui sempre cerca trovando tutt'altro a volte. 
    La letteratura è molto lucida nella sua follia. Dà pure un'occhiata al tuo mondo e ti racconta l'antifona. Le uova che ci covano da tempo, il mondo delle illusioni di casa, se gli spaghetti che hai cucinato sono scotti oppure possono andare bene. E mille altre cose di alta qualità di questo genere.
    C'è molto bisogno di scrittori. Basta pure la loro presenza a ravvivarti la serata. Sono così buffi, originali, dannati, puri a volte, ma pure sempre ridanciani e carichi di cose stupende a sapersi.
    Io faccio parte della cricca. E se qualche volta mi cerchi che hai bisogno di me, per qualsivoglia motivo, sei ben sicuro/a che mi trovi.
    E mi prendo molto, ma molto meno di qualsiasi doc. Appena appena un caffè al bar della comune Speranza.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

PSICOANALISI DELL'IO

    Conosci te stesso. Già, è una parola. Quando mi guardo allo specchio mi dico: "Ma chi è quell'ubriacone avvinazzato là? Ma sono davvero io? Sembra che mi sono appena bevuto un bottiglione di vino rosso. Ci ho pure il naso viola come un peperone".
   Non mi sono arreso. Combatto bene, perchè dovrei farlo? Che mi tolgano le mie armi loro se ne sono capaci. Io per conto mio non gliele darò mai di mia volontà. Anche se sul campo una disfatta segue l'altra. Sono in ritirata, certo, ma i miei sentimenti e la mia coscienza combattono ugualmente anche se in indietreggiamento.
    Sono dall'altra parte. Dalla parte dei perdenti. Ma mi piace stare almeno da una parte. In estrema periferia. Ma qualche puntata d'attacco al centro la faccio tutti i giorni. Mi ignorano completamente. E' un'ottima strategia mentale, ma io son là che mi prendo spazio per me, per il mio pensiero, per il mio amore e per il mio odio.
    Non c'è niente da capire anche con se stessi. Si è quel che si è. C'è da riderne a pensarci su. Ed ecco allora che ti ritorna il buonumore e la volontà di continuare a combattere. Ed è proprio così che volevo essere nella mia vita.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

LEI

    Lei? Continua nella sua follia. Ho capito che tra l'amore e la pazzia è mille volte più forte la pazzia. Non c'è niente da fare. Devi soccombere. Anche l'amore è una specie di follia, certo, ma di valenza e potenza inferiore alla follia pura. La follia non ha nessun scopo, l'amore sì, e lì è la sua vera debolezza. Chi non cerca niente è superiore a chi cerca qualcosa. Non piace nemmeno a me che sia così, ma è così. Chi non cerca niente è già sicuro che non trova niente, ma chi cerca qualcosa e poi non trova niente pure lui, son batoste molto pesanti da sopportare.
    L'amore? E' passato pure lui. E' triste da dirsi, ma è così. 
    Una volta le dissi: "Non capisci cos'è il bene? Verrà un giorno che capirai alla perfezione cos'è il male".
    E così è stato.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

IL PROBLEMA DI PINOCCHIO

    Ma qual è il problema?
     Qualcuno ci ha fatto. Non siamo stati noi. Ma certo a nostra volta qualcosa possiamo fare di noi stessi. Cosa? Questo è il vero problema di ognuno di noi.
     Il buco che ci trovano gli altri non sarà mai una risposta. Vogliamo fare, costi quel che costi, di testa nostra. E' qui che arriva il caos. Dove non ci capiamo più niente.
     Bla. Bla. Bla.
     Di punto in bianco tutti devono dire la loro su cosa è bene per noi. E invece noi la notizia l'abbiamo già stampata da tempo su tutti i giornali.
     Devono incassare il colpo, altrimenti ci massacreranno a vita.
     Gli occhi non mentono, così come l'anima. L'indirizzo della nostra casa noi lo conosciamo benissimo. Basta andarci e abitarci per sempre, per fare la nostra vita. E così non c'è più nessun problema.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

IL TEMPO DI ANDARE

    Si decide sempre all'improvviso. Il tempo precipita d'un tratto in un attimo oscuro. Il pensiero arriva solo un pò più tardi a fare luce. 
    Il furgone ti deve portare da qualche altra parte per un altro misterioso importantissimo appuntamento della tua vita. C'è il tempo di stare e c'è il tempo di andare. C'è il tempo di potare e c'è il tempo di vendemmiare. C'è il tempo della luce e c'è il tempo dell'oscuro.
    Killing mi diceva sempre che c'era qualcosa di buono nei miei fogli di carta. Poi mi guardava e rideva.
    Quando si va c'è sempre un treno che parte a quell'ora e sai che non è possibile perderlo. Anche se non hai il biglietto e non si sa nemmeno quale sia la destinazione, bisogna partire lo stesso.
    Gli amici mi sorrisero e non mi fecero nessuna domanda.
    Non è uno sforzo andare, la fatica è sorridere.
    La psicoanalista era in quel mondo che mi dovevo lasciare alle spalle. Ciò che è passato conviene che passi davvero.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

IL SENSO DELL'ASSURDO

    La fantasia corre sempre nella mente di un uomo, non si ferma mai. La psicoanalista aveva tutte le notizie della mia vita, con queste era giustamente in grado di capire alla perfezione tutta la mia esistenza, anche facendo a meno di tutte le preziose teorie della psicoanalisi. Non avevo avuto nessun tipo di segreti con lei, lei invece era il mistero assoluto per me, ma pure attraverso i suoi sguardi e le sue parole e i suoi gesti, certo non secondari, anch'io avevo capito lei. Di certo non posso riferire niente altrimenti manda qualcuno a denunciarmi...
    Si potrebbe anche dire senza andar lontano dal vero: il veridico e molto accessibile senso dell'assurdo.
    Nella vita non c'è poi molto da capire. Se ti tengono fuori, ti tengono fuori. Non c'è niente da fare. Ti possono pure dire: non è vero. Ma se è vero lo capisci da solo senza che gli altri ti dicano nulla.
   Le parole molte volte sono fatte apposta per oscurare la lucentezza della situazione. Gli uomini possono benissimo ingannarsi pure tra i fumi di fuoco del deserto più desolato. La verità ferisce, senz'altro, per il semplice fatto che tu non te l'aspetti. Ma una volta fatta la scoperta per fortuna si può pensare, e così si scoprono tutte le altre pagine oscure del nostro diario misterioso.
    A qualcuno tutto questo dà molto fastidio, inquietudine, dolore. E allora per risolvere tutto si chiude il libro aperto di noi stessi. E ci si rifugia nell'aiuto degli altri che non arriverà mai, perchè sono proprio loro l'origine nascosta di tutti i nostri problemi.
    La colpa che tutti, in un modo o nell'altro, ci scaricano addosso è il vero motore atomico che fa andare avanti all'infinito la psicoanalisi.
    La doc portava calze a rete bianche sotto la gonna. Sempre.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

L'UOVO

    Alla fine la psicoanalista mi ha detto di riassumere in una sola parola tutto il costrutto della mia vita, come in una foto simbolica dell'intero panorama della mia psicosi. Mi aveva detto una volta Killing che questo tipo di domande, da parte di una psicologa qualsiasi, ti possono pure portarti a odiare il tuo prossimo per sempre per tutto il resto della tua vita. Ma io ho capito subito che dovevo rispondere, e anche abbastanza in fretta, altrimenti tutto avrebbe perso valore. Non ammettevo poi l'idea di passare per un cretino così grosso che non riesce a trovare una sola parola quando, chiunque sia, gliela chiede. La faccenda era che non sapevo neppure io cosa diavolo avrei mai risposto. E questo non era mica un dettaglio di poco conto.
    Così mi buttai a capofitto e anche a rischio di essere preso per un perfetto paranoico dissi d'istinto: "Uovo".
    Per poco non scoppiai a ridere quando lo dissi, ma feci in tempo a trattenermi. Perchè davvero la cosa era molto ridicola e anche il senso della mia risposta mi faceva ridere non poco.
    Allora ho guardato dritto in faccia la doc e in effetti mi è sembrata alquanto contenta di quel che avevo risposto. Mi sembrava in linea con ciò che lei si aspettava, per chissà quali oscure leggi della psicoanalisi, e pure in qualche modo contenta delle risultanze positive, a quel che mi sembrava di capire, del suo lavoro con me e con se stessa.
    Io me ne stavo tranquillo ad aspettare cosa lei avrebbe detto poi, forse a commento della mia sparata, certo non ovvia. Dopotutto stavo bene e così, del resto, chi se ne fregava?
     Oppure?
      Lei, come c'era da aspettarselo, non commentò affatto. Si limitò a dire che la recita era lecita. Io invece dopo nell' "uovo" ci lessi il sesso, il cibo, la natura e il futuro, e così con me stesso almeno fui molto soddisfatto della mia risposta, che avevo dato d'istinto, senza pensarci su più di un paio di secondi, che come tempo mi sembrava pure abbastanza soddisfacente.
    La faccenda della recita poi non l'avevo capita, nè mi interessava appurare oltre i voli pindarici, a volte letteralmente assurdi, che fanno gli psicoanalisti.
   Ma lei fu sorpresa a vedermi infine così tranquillo. Gli psicoanalisti ti preferiscono per vizio di professione sempre un pò pieno di dubbi e di dilemmi.
    Di tutto questo era consapevole la doc?
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
    

lunedì 8 luglio 2013

IL FURGONE

        E' uno spettacolo. La vita è uno spettacolo. Bisognerebbe avere la chiave di questo teatro per capire dov'è il motore. Va tutto al suo posto. Basta avere fiducia. Aspettare tranquilli e avere fiducia. Le cose vanno sempre al loro posto. C'è sicuramente un Dio in tutto quello che esiste. Noi siamo seduti dietro ma la musica meravigliosa l'ascoltiamo lo stesso. Ci serve tempo per capire tutto. Molto tempo. Ma il giro della vita è a posto. Basta solo controllare i nervi un pò. Scambiare calmi qualche chiacchiera, aspettare chi già ci aspetta, sopportare con pazienza tutti gli idioti. La vita è sempre migliore di quel che sembra. Basta non andare dietro a tutto, ma arrivare al posto giusto in tempo. Anche se il passaggio per arrivare lì ce l'ha dato un furgone maledettamente sgangherato.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

UN BAR PIENO DI ROBOT

    Ero in un bar di periferia. Erano tutti dei robot là dentro. Pensavo così di esserlo anch'io.
    "Devi fare quello che dice il padrone", mi ha detto il cameriere.
    "Quale padrone?", ho chiesto.
    "Il padrone di tutto, ovvio", ha detto lui.
    "E che dice il padrone?", ho detto io.
    "Devi pagare tutti i tuoi soldi e non devi prendere niente", ha detto lui.
     Erano tutti degli automi, le facce di latta, lo sguardo fisso e allucinato. Si muovevano con gesti assolutamente meccanici. Sembravano dei mimi bravissimi, ma non era mimi. Anche le loro voci erano innaturali, come prodotte da un computer.
     "Non posso mettermi a discutere con questa gente", mi son detto. "Sono così fuori che di certo non capiscono più niente".
     "Allora, paghi?", mi ha detto l'automa cameriere.
     "Mi dispiace, non ci ho una lira", ho detto io e il bello era che era assolutamente vero. Ero entrato lì alla ricerca di un mio amico che mi desse qualche decino. E invece avevo trovato tutto quel delirio.
    "Allora ti tocca andartene", mi ha detto quello che certamente aveva qualche marchingegno elettronico e aveva verificato a distanza la veridicità delle mie parole.
    "Con sommo piacere", ho detto io e me ne sono andato.
     Mi dispiaceva solo per un motivo andarmene, che non gli avevo chiesto se si divertivano in quel posto. Ma era pure una domanda inutile, a vedere le loro facce la risposta era più che evidente.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

LA PSICOANALISTA

    Si scappa sempre da qualcosa, si corre sempre verso qualcosa. Fuga e inseguimento, ecco i poli della nostra psicosi. Siamo come una specie di investigatori privati di noi stessi che lavorano molto male perchè non vengono assolutamente pagati. La psicoanalista ha troppe idee per la testa. La concreta pratica della vita è tutta diversa. L'anima cerca sempre qualcosa che ha già, eppure ha bisogno di circumnavigare il mondo per trovarla.
     Un contatto con me stesso io ce l'ho. Sono i miei sogni, che non mi dicono niente ma  mi danno tutto. Tanto una psicosi vale l'altra. Meglio averne una che non si vede per niente. Infatti chi vuoi che veda i tuoi sogni? I sogni sono invisibili, tranne che per chi li fa.
    La psicoanalista ha tante idee per la testa perchè ha tanti sogni anche lei. Anche lei sogna di brutto. Come credo tutti quanti noi.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO  

VENIAMO TUTTI FUORI DA UNA CASA CHE C'ERA UNA VOLTA

     Chissà da dove siamo venuti fuori. Un giorno un uomo guardò una donna e si vollero. Da lì usciamo un pò tutti. Quanto tempo è passato. Non se ne ricorda più nessuno quasi.
    Il cortile, le galline, le capre, tutti quei racconti sull'Inghilterra. Sulla farm, sui soldati. Poi ognuno andava a zappare la sua terra, a coltivare i suoi peperoni. Giorni di campi di grano, di vendemmie, di pigiatura di gran carichi di uva. 
   La zingara che disse a mio padre: "Te lo ruberanno presto". Lui pensava che mi sarei sposato giovanissimo e invece crebbi in un'altra famiglia. 
   Le ragazze della sartoria, il camion, di nuovo le vendemmie e le pigiature. Le tacchine che facevano le signore. 
   Una sera tardi me ne andai dietro una fata bionda. Entrai in una lontana galleria di quadri di Chagall. Feci esperienza. Imparai tutto sui sogni, poco sui soldi. 
    Ora tutte quelle stanze sono vuote.
    Qualcuno è contento ancora di sentire la mia voce. Io sono contento che è ancora lì.
     "Io son qui. Ti aspetto", mi dice ancora in un filo di voce.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

DI NOTTE PER LA CITTA'

    Vado in macchina per la città. Ha piovuto di brutto e tutte le strade sono lucide e scintillanti di luci che rifrangano dappertutto. 
    Passando da una via sconosciuta ti vedo a una finestra che mostri lasciva il tuo corpo bellissimo.
    "Ma che fa là?", penso con la mia mente che ha una specie di vertigine e quasi mi fa perdere il controllo della guida.
    Immagino che sei lì a curare la tua bellezza, o a mostrare le tue calze scure alla città.
    "Chissà", penso.
    Forse non mi ami, ma perchè ingannarmi? Potresti tranquillamente dirmi tutto e poi andartene. Ma forse ci sono certe donne che vogliono avere tutto, forse anche tutta intera la città.
    Forse tu sei una di quelle.
    Un attimo. Poi continuo a correre nella notte.
    "Ma che giorno è oggi, dovrei ricordarmelo per il futuro", mi dico.
    Ma non so assolutamente che giorno sia. E' notte intorno a me, e dopotutto io non ho neanche la macchina. 
    "Non dovrei essere nemmeno in giro a quest'ora tra tutte queste strade bagnate di città", penso con sollievo.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

LA MENTE

    Sono in un'osteria. Vecchi tavoli di legni antichi. Bottiglie e donne dappertutto. Non si distinguono i volti nè delle donne nè delle bottiglie. Appesi alle pareti vecchie locandine di spettacoli teatrali molto spinti, pubblicità di birre che ormai non fa più nessuno da tempo. Un manifesto invita a fare il giro del mondo su un transatlantico inglese in partenza da Londra il primo giorno di primavera. 
    C'è un viavai dal cesso delle donne da non credersi.
    "Vanno a rifarsi il trucco", penso, ma non ne sono tanto sicuro. Forse vanno a tradire i loro uomini sotto il loro stesso naso. Chi può dirlo?
    Seduta con me al mio tavolo c'è una tipa che non fa altro che sbadigliare.
    "Te credo. Me ne sto sempre a parlare di questa minchia di filosofia", penso tra me e me.
    Una tipa in maschera fa le foto a un ragno.
    "Ognuno ci ha i suoi gusti", penso.
    Una ragazza mi sorride da lontano.
    "Quando sono lontane da me mi sorridono, quando sono con me si annoiano", penso sfiduciato.
    Mi bevo la mia birra. Distolgo il mio sguardo e d'un tratto la ragazza che era con me sparisce.
    "Sarà andata a sbadigliare da qualche altra parte", penso. "O finalmente a parlare a manetta con qualche suo connazionale".
    Già, come poeta io mi sento totalmente straniero con tutti.
    Anche il ragno se ne sparisce via, e la tipa in maschera si mette a fare le foto a me.
    "Mai vista quella maschera", penso io. "Chissà chi sarà?"
    Quella mi sorride e mi dice, quasi mi avesse letto nei pensieri:
    "Sono la tua mente".
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO  

FAME

     Fame. Fame di essere. Fame di godere. Fame di soldi. Fame di sesso. Fame. Fame d'amore. Fame di felicità. Fame di essere se stessi.
     Siamo esseri manchevoli, non c'è dubbio. Ma te cos'è che ti sfama veramente? Una poesia, una ruota di macchina, una lasagna, una vamp?
    Vogliamo tutto perchè non abbiamo niente dentro.
Vogliamo sempre tutto, possibilmente senza mai dare niente indietro.
     C'erano tre donne che mangiavano voluttuosamente frutta esotica.
     Viene un meccanico e dice:
      "C'è qualcuno di voi che ha un giravite per smontare la testa di mia moglie e mettere la sua? Voglio cambiare vita anch'io, anche se sono solo un poveraccio".
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
      

MEMORIE DI UN POLLO

    Sognare, che significa? Ne vedo tante volare a manetta nella mia mente. Finiscono tutte per lasciarmi appeso al fico. Gli schizzi di vita che racconto forse fanno più calda la mia stanza così spoglia di cose belle. Le vere cose belle della mia vita sono proprio i sogni. Che cosa possono significare allora?
    Non lo so. So solo che io me ne vado alla deriva nel loro grande mare. Me ne vado al largo da questa realtà che tra parentesi mi piace molto pure. Ma i sogni sono lontani. Come te. E allora è proprio per questo che io li amo così tanto e tutto sommato ci vivo.
     I miei amici son spariti tutti. Anche di loro son rimasti solo i sogni. Le loro maglie gialle così piene di futuro. Le piantine di città come Londra, Amburgo o Berlino. Ho tolto la polvere ai miei libri e ci ho trovato un vecchio diario. "Memorie di un pollo", si intitolava. Però è bello essere pazzi e avere pure il coraggio di non cambiare mai.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

LA FESTA DI ARLECCHINO

    E' venuto un pagliaccio da me e mi ha chiesto di organizzargli una festa, dove lui avrebbe letto le sue poesie. Gli ho chiesto un centino.
    "E' molto", mi ha detto e se ne è andato.
    Poi è venuto come una specie di Arlecchino.
    "Io le feste gliele organizzo gratis. Poi faccio arrivare il diavolo che gli ruba prima le valige, poi il giudizio e infine l'anima. Non spendono niente per la loro stessa festa", mi ha detto e poi è scoppiato a ridere e se ne è andato.
    Io son rimasto lì e dopo un pò è arrivato Mister X.
    "Sai dove si mettono l'anima la maggior parte delle persone?", mi ha chiesto.
    "Dove?", gli ho detto io, abbastanza curioso di saperlo.
    "Nel frigorifero! Come il salame!", ha detto lui ed è scoppiato a ridere, da pisciarsi sotto veramente.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

DALI'

    L'artista piange, ed è vera la finta che fa. Tu non lo conosci, ma fai finta di non conoscerlo. Per il semplice motivo che non gli vuoi pagare il caffè. Ti fa fare il giro del mondo gratis e tu fai lo spilorcio maledetto. 
    Viene al tuo tavolino a salutarti ma tu sei troppo impegnato con il tuo telefonino, il tuo giochino della minchia, la tua birretta schifosa. Non gli dai retta, ti da fastidio, è chiaro che vuoi godere della sua arte in solitudine, e soprattutto senza tirar fuori una lira.
    Killing mi dice sempre che l'artista è il vero medico che cura tutti i deliranti folli del mondo. Ma tu invece sei troppo interessato al tuo messaggino sul telefonino. Cosa ti dicono? Ah, che devi andare a vedere la mostra di Dalì che danno al museo del municipio. Da non perdersi assolutamente, anche se tu preferisci andare a vedere un film porno, o meglio rubare. Proprio come me.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

IL MELONE

    Parcheggiamo l'anima in una preghiera e poi vediamo come va. Come poteri non è che siamo attrezzati eccessivamente. Abbiamo il nostro parco dove portiamo a pisciare i nostri cani, il nostro bosco dove nascondiamo i nostri fantasmi, il nostro supermercato dove andiamo a comprare i nostri fagioli lessati. Non di più. Come bambini poi andiamo al bar a farci il nostro cicchetto zuccheratissimo. Giochiamo con i nostri pupazzi, abbiamo la nostra canzone dell'asilo infantile preferita, e la nostra anima se ne può pure andare in vacanza per sempre.
     Poi di sera ci piace trovarci nella nostra lunatica coppietta, ci facciamo gli affari nostri, ci mettiamo a vedere il film della nostra follia seduti comodamente sul divano. Una coppietta di due solitudini assolute. Si fa a volte un giro in centro per un gelato, vedendo che per fortuna non siamo ancora diventati accattoni seduti sul marciapiede a chiedere l'elemosina a dei bastardi come noi.
     La solitudine però fa venire parecchia sete, e allora con poco diventiamo dei sordidi ubriaconi, che tracannano egoismo di merda a gò-gò.
     Ah, con il frigorifero pieno naturalmente. La testa completamente sgombra da qualsiasi pensiero.
     Quando arriva il cameriere a dirti che devi sgombrare la sedia perchè si chiude, dici:
      "Ma non mi sono ancora mangiato il melone che ho pagato!"
      "Non preoccuparti, te lo potrai mangiare tranquillamente all'inferno", ti dirà il cameriere dell'ordine universale delle cose.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

GITA NEL MIO INCONSCIO

    Sono andato a fare una gita nel mio inconscio. C'era un lago di cose non dette, ma che io invece sapevo alla perfezione. So che non ci crederete, ma tutto quello che io racconto alla psicoanalista è chiaro che lo so d'anticipo, solo che devo convincermi sul serio di saperlo. Facciamo sempre i finti tonti con noi stessi. Salvo poi quando una donna ci mette in una scatola di sardine  e ci porta in giro con la sua borsa della spesa per mangiarci quando ha fame. Come anime siamo un cibo molto speciale: in pratica dopo mangiati siamo ancora di nuovo lì, per essere mangiati di nuovo a piacimento. L'alternativa è di rimanere in quel carcere spietato che è il nostro stesso cervello. Gli amici ci fanno da giudici e son quasi sempre loro che ci mandano all'ergastolo di noi stessi.
    Detto così può essere una sorpresa ma son cose che sappiamo tutti, penso, solo che non ce lo diciamo tra noi stessi.
     Killing mi ha detto una volta, strizzandomi l'occhio con malizia, che un buco di uscita a questo delirio esiste pure: un caffè molto zuccherato. O un bicchiere di campari rosso bello tosto, o un generatore di appuntamenti automatico con le puttane. Se si è particolarmente sfortunati insistere molto sulle risate fatte per nulla, è un metodo da pazzi, ma qualche volta funziona.
    Ammiccare a se stessi, e dirsi che tanto tiriamo a campare lo stesso, bene o male non muore nessuno di fame in questa società dell'abbuffata che abbiamo costruito. Tiriamo a campare comunque.
    E' chiaro che i vigili urbani ti chiedano ogni tanto i permessi di circolazione, è il loro mestiere, è naturale, ma la fortuna è quella di non averci mai la macchina, così se la patente è scaduta non  ti possono davvero fare un cazzo. Ma comunque ti perquisiscono lo stesso tra i tuoi giornali pornografici, i tuoi manifesti surrealisti, le mutande sporche di merda. Ma che ti frega? La tassa della spazzatura la paghiamo regolarmente e la smettono di rompere i marroni e vanno a controllare la pressione delle ruote a qualche altro scoppiato di fegato.
     Il resto della folla dei miei amici è fatto di simboli che conservo solo io, così non ho almeno da rendere conto a nessuno. Siamo  in viaggio di sola andata, non c'è ritorno, questo lo sanno davvero in pochi, e ecco perchè sono così tutti maledettamente bastardi dentro e pure fuori.
    Volpicella era il più furbo alle elementari, rideva sempre e poi quando ti faceva ridere pure a te ti faceva una pernacchia, per farti capire che non eri così furbo come lui. Come, sbagliando grandemente, credevi di essere solo per il fatto che sapevi ridere pure tu.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

IL BICCHIERE E' VUOTO

    Mo arriva, mo arriva e non arriva mai un bel niente. Mi lamento troppo nella mia vita è chiaro che poi arrivano in 100.000 a turlupinarmi, a ingannarmi, a fottermi. 
     Oggi ho bollito un libro nell'acqua bollente invece dei soliti spaghetti, volevo sapere che minchia di gusto hanno le parole. Facevano letteralmente schifo. 
    "Hai novità di quella?", mi ha chiesto il mio amico pazzo.
   "Macchè!", mi son detto da solo.
   Oh, cazzo, mi son messo a parlare da solo ormai. Ma poi ci ho pensato su e mi son risposto che non è tanto grave. E' come parlare a un amico rompicoglioni, non di più. Non c'è motivo di allarmarsi eccessivamente.
    Ma io poi a quella l'ho mai conosciuta? Mi è stata presentata una volta almeno? Minchia, se me lo ricordo.
    Ho scrutato a lungo in me stesso, per scoprire se caso mai stavo mentendo. Macchè, dicevo come al solito sta cazzo di verità. Oh, devo smetterla con il turpiloquio, come mi ha detto la psicoanalista. Ma poi non so manco io a chi sto richiamandomi. Ho troppa curiosità delle donne e allora è fatale che poi io le confonda in un certo modo l'una con l'altra. Non che siano uguali, ma sono io che mi oriento con i miei paradigmi, che sotto sotto sono sempre quelli.
   Devo fingermi più ignorante, quasi fesso, così forse ho speranza di sgusciare di più via. Come il merluzzo scatamarato quale sono. Tanto, se devo confessare la rava e la fava, qui son sempre io che me la racconto a me stesso. A chi fo male?
    Nisba porto zero. Non ci capisco niente. Forse ci abbiamo tutti il flusso di coscienza (stavo per dire di vomito) dell'agente segreto, cioè di quello che finge sempre di sapere tutto e invece non sa proprio un cazzo di niente. Abbiamo tutt'al più un diletto da assecondare, un passatempo da portare a termine, non di più. Ora, per esempio, io sto solo e me la godo alla grande, ma devo fingere invece di cercare l'altro. Ma che cazzo me ne frega a me dell'altro?
     Ho ripetuto di nuovo la domanda a quel losco tipo che mi fa di solito compagnia, cioè io stesso. Quello ha fatto addirittura finta di non sentire. A questo punto siamo arrivati. Ci prendiamo per il culo da soli, ormai. Non c'è davvero più religione, nè filosofia, e nemmeno uno straccio di argomento di cui valga davvero la pena di argomentare, sembra un'ossimoro ma non lo è.
    Allora sai che faccio? Mi metto a dire a me stesso una massa sterminata di ovvietà, di banalità, di balordaggini. Mi faccio pure io direttore d'azienda in fallimento e così mi tiro un pò su il morale.
    Sono un dannato ficcanaso di me stesso, mai che mi faccia i fatti miei. Mi impiccio di tutto quello che mi riguarda. Ma chi me lo fa fare? Non posso fare lo stupido come tutti gli altri? No, devo fare la persona intelligente a tutti i costi e poi me lo becco in quel posto lì. Mi fotto da solo, come si suol dire.
     Dietro di me c'è LEI. E mi tratta come una merda.
Io in tutto questo non c'entro per niente ma sopporto tutto. E intanto continuo ad amarla con tutto me stesso.
     E' qui che la mia ragione mi abbandona e davvero non ne vuole più sapere niente di me.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

UN SECCHIO D'UVA

    Eravamo in campagna, nel campo di Casalicchio. Avevo raccolto solo il fondo di un secchio d'uva.
    Mi son detto:
    "Devo riempirlo, e poi trovarne altri due. Anche con un solo secchio d'uva può venir fuori una bella bottiglia di vino".
   Mi son ripromesso con la mia raccolta di farci almeno un bottiglione di vino. Dalla mia parte della raccolta di tutto un campo. Ma io ero contento lo stesso.
    Il fondo del secchio era fatto quasi solo di acini d'uva, a prima vista dolcissimi.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO 

giovedì 27 giugno 2013

LUCA IL MARESCIALLO E CELINE

    Me ne stavo in via Festa ad Acquaviva sotto la casa di Luca il Maresciallo. Eravamo andati a chiamarlo ma lui non scendeva. Abitava al quarto piano di una bella casa, con una grande vetrata in cucina. Lui aveva fatto la guerra di Francia. Poi era stato pure in Spagna dove era diventato maresciallo, l'unico della nostra sterminata famiglia. Che io sappia era andato anche in Etiopia a combattere, ma di questo non faceva mai menzione. Di quello di cui parlava sempre era che aveva conosciuto a Parigi, in un ospedale militare in convalescenza, il geniale scrittore Céline. Per fortuna in paese nessuno ne sapeva niente, nè di libri nè di grandi genii della letteratura. 
     Non scendeva, non ne aveva voglia.
     "Tu, mon amì Joseph, avresti dovuto proprio conoscerlo. Era semplicemente un genio. Mangiamaccaroni, mi diceva e scoppiava a ridere a vedere la mia faccia serissima di combattente ferito. Noi italiani eravamo accorpati ai francesi per vedere come combattevano, anche dei loro erano in Italia, sul Carso, a vedere come ce la cavavamo pure noi. I fratelli sono sempre sospettosi l'uno dell'altro. Gli americani erano contenti dovunque si trovavano. Sono ragazzi quelli, mio Joseph, noi e i francesi siamo dei vecchi marpioni scoppiati ormai...", mi disse una volta Luca il Maresciallo. Del Regio Esercito di una volta...
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO  

domenica 2 giugno 2013

POETI DI STRADA


    C'erano tanti artisti di strada. A uno di loro avevo dato due miei libri, una rosa rossa di 100 poesie d'amore e una pistola finta per tentar il colpo gobbo alla bottega del destino intelligente.
    Dopo un pò quel cornuto mi telefona e mi fa: "Stai attento che ti stanno cercando per picchiarti!".
    "Ma che dici? Perchè dovrebbero picchiarmi?", gli chiedo io abbastanza arrabbiato.
    "Son venuti a parlare con me e io gli ho detto delle cose", mi fa lui bofonchiando.
    "E che gli hai detto? Di che infamia mi hai accusato?", gli chiedo io, completamente fuori di me.
    "Di niente. Di niente", dice lui e cade la linea.
    Io me ne sto a piazza Duomo. Gli ho ragalato due libri a quel fottuto e chissà cosa è andato a dire in giro di me. Mi deve 300 euro ora sono ormai 4 anni.
    Se vogliomo picchiarmi mi devono prendere alle spalle, altrimenti non son sicuro che ci riescono.
     Poi penso di nuovo sicuro di me: "Non ho fatto del male a nessuno e così mi viene di non temere mai niente e nessuno".
    Si vive comunque per strada, da poeti. Non è una vita facile, è il nirvana.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

PENSIERI DI UN MONACO ZEN

    "O ricchi o poveri si vive lo stesso. E allora perchè non far vivere decentemente tutti i poveri? 
    Si vive allo stesso modo da uomini, o ricchi o poveri. E allora perchè non far in modo che anche i poveri diventino ricchi a loro volta? C'è mondo abbastanza per far anche questo.
    Il popolo se è felice lavora meglio.
    Ma davvero i governanti sono così stupidi che non capiscono niente di uomini e di mondo?"
    Così diceva un monaco zen sperduto tra vari tempi deserti dove proprio nessuno si recava più a pregare e a meditare.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

CONTROLLORI ALL'ATTACCO

    Arriva un autobus dell'ATM e tre controllori si avventano sulle porte senza far uscire nessuno e poi s'infilano dentro per controllare i biglietti.
    "Minchia, si son proprio messi d'impegno oggi", dico io.
    Arriva un altro bus e altri tre controllori si aggrappano letteralmente alle porte senza far uscire nessuno e poi si ficcano dentro.
    "Puttana miseria, sembrano proprio dei leoni affamati di clandestini senza biglietto oggi i controllori", dico io.
    Ma mi accorgo che i bus ora hanno una quarta porta, proprio accanto  al posto dell'autista e da lì alla chetichella escono 3 o 4 dei soliti furbastri senza biglietto.
    "Macchè, tutto come prima allora", dico io.
    Un tipo si avvicina e mi fa:
    "Hai visto come sono pimpanti oggi i controllori?"
    "Sì, ho notato. Ma che è successo? Hanno mangiato piccante o cosa?", faccio io.
    "Di più! S'è sparsa voce che è in giro su un autobus Greta Garbo e allora sti pirla fanno a gara a chi le controllerà il biglietto e magari dopo aver l'ardire di baciarle la mano o qualcos'altro! Te capì, maneghino?", mi fa lui.
    "Ma pensa te! Ora si capisce tutto questo fervore e questo attaccamento al lavoro stamattina! Sti pirla!", dico io e mi metto a ridere.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

CHIESE DI CAPRI

    Mi accompagnavano in macchina per le varie chiese di Capri. Ce ne stavano davvero tante e in ognuna ci recavamo per visitarla e ammirarla. Lungo un tratto abbastanza fuori mano ce ne erano due e io entro nella prima. La navata era grande e spaziosa e pure molto buia. Su un altare laterale mi accorgo che sotto una madonna bizantina c'è pure la riproduzione della madonna di Costantinopoli del mio paese. E anche dell'altro suo santo patrono Sant'Eustachio. Tutto è illuminato dalle fioche luci di 4 o 5 candele votive.
    "Ehi, ma qui c'è pure la madonna di Acquaviva! Come ha potuto arrivare fin qui?", chiedo a chi mi accompagna.
    "Bah, l'avrà portata qualche devoto del tuo paese", dice quello.
    "Oppure l'ha portata qualche devoto di Capri", dico io.
    "Può essere", dice lui.
    Usciamo. Fuori c'è un'altra chiesa da visitare, proprio vicino alla riva del mare. Ma io son proprio sazio, son troppo contento di aver trovato traccia del mio paese fino a Capri.
    Comunque è già sera.
    Allora prendiamo la macchina e risaliamo verso casa.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO

CALZE DI SETA SPLENDENTI


    Me ne stavo nella camera da letto dei miei affittacamere quando vedo seduta a una vecchia sedia da bar la pittrice ebrea Ameliè Moruk. Aveva delle calze di seta larghe per le sue magre gambe e splendenti, quasi fluoroscenti. Aveva tentato di sedurmi una volta con quel vecchio trucco delle calze seducenti... Ma non c'era riuscita...
   "Vuoi comprarmi quel mio quadro a olio dell'albero di ulivo?", mi fa.
   "Non ho soldi", gli dico.
   "Beh, puoi pagarmi in natura", fa lei.
   Le calze le risplendono quasi avessero delle lampadine accese dentro.
   "In cosa? In olio o vino?", dico io, alludendo oscuramente ai miei vari mestieri di contadino.
   "Possibilmente in tutt'e due", fa lei, come al solito senza mai mollare un colpo.
   Lei era la madre di Betty Page, e erano state al manicomio tutt'e due. Madre e figlia. Tra di loro ero capitato proprio io, come un fico fiorone un pò passato di maturazione.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO