venerdì 30 novembre 2012

IL CHIOSCO DEGLI ARROSTICINI

     Me ne andavo per una strada innevata. Era sera tardi, e là vicino c'era una piazza dove c'era un chiosco che vendeva arrosticini. C'era poca gente e tra loro anche un mio amico che parlava con un suo parente.
     "Devo ancora laurearmi", diceva. "Ma ho solo 30 anni, certo devo sbrigarmi ma in qualche anno ce la faccio a completare gli studi".
     "E in cosa devi laurearti?", gli chiede il parente.
     "In medicina", risponde il mio amico.
     "Ah, bene. Così almeno ce la farai a curarti se diventi dottore", gli dice quello ridendo.
     Io allora mi compro una razione di arrosticini e me ne vado via, mangiando pigramente.
     "Se tutti i parenti sono come quello là, io preferirei di gran lunga non avercela nemmeno una famiglia", penso.
      La strada è tutta piena di neve, è buio e fa un freddo della miseria. Però vicino al chiosco degli arrosticini si stava bene al calduccio.

giovedì 29 novembre 2012

UN LETTO SULLA STRADA

    Mi sono svegliato e il mio letto era su un marciapiede di una strada molto affollata e con un traffico di auto del diavolo.
     La gente mi passava attorno e non mi badava minimamente. Allora io mi sono alzato e ho cercato le mie scarpe sotto il letto che miracolosamente erano ancora là. Mi sono vestito e ho rassettato il letto, ho messo a posto le coperte e mi sono guardato intorno. Nessuno badava a me.
     Allora con noncuranza mi sono allontanato, ma c'erano un nugolo di balconi e di verande che mi impedivano di accedere alla strada dove volevo andare, una strada di paese polverosa e secondaria. E così saltando le verande mi sono ritrovato in una casa non mia.
     "Ehi, vedi un pò cosa vuole quel tipo là", ha detto un tizio a sua moglie.
     Quella mi ha guardato e ha detto:
     "E cosa vuoi che possa volere? Vorrà qualcosa da mangiare".
     "No, no. Ho solo sbagliato strada. Scavalcando verande per errore son arrivato qua", ho detto io con stizza.
    Così ho subito riscavalcato la loro veranda e ho guadagnato in fretta, superando ancora un altro balcone, la mia strada polverosa e secondaria di paese.

mercoledì 28 novembre 2012

LE MANI DI UN MARINAIO

    Eravamo andati a Taranto per delle pratiche all'Arsenale riguardanti il nostro servizio militare in Marina. Ci eravamo dati appuntamento alla stazione di Bari e poi là, eseguite le procedure burocratiche, eravamo ritornati e ci stavamo salutando. Ci facevamo delle fotografie ricordo perchè forse quella era l'ultima volta che ci vedevamo.
     C'era il mio vecchio amico Errani, e io gli avevo fatto una foto di profilo, mentre un altro marò gli faceva la foto di faccia.
     Ci salutiamo e poi ognuno se ne va per conto suo. Ci sono anche molti genitori che accompagnano i marinai in congedo.
      Sul binario della stazione vedo che è ormeggiata una piccola nave da guerra e io vado lì vicino per vedere se caso mai hanno bisogno di un marinaio armaiolo. Ma la nave è aperta al pubblico ed è piena di gente, così decido di aspettare finchè almeno tutti i civili se ne sono andati via. I marinai a bordo offrono da mangiare e così penso che le cose vadano per le lunghe. La nave è davvero piena di gente che sale e scende da tutte le scale dei vari ponti.
     Mi metto ad aspettare appoggiato indolente a una colonna del binario della stazione, e a un certo punto si avvicina una ragazza, una biondina carina, forse tedesca. Forse è proprio Doris Schwald
    "Mi fai vedere le mani?", mi dice.
     Io gliele mostro. Lei le guarda con attenzione, nel palmo aperto e sul dorso.
     Poi mi dice:
     "Sono molto curate per essere delle mani di marinaio".
     "Dici? Guarda che io sono un marinaio armaiolo e le mani mi diventano nere quando lavoro con olio meccanico e pezze piene di carbone esplosivo", le dico. "E poi sono anche contadino, dopo due giorni di lavoro in campagna mi diventano dure come tavolacci".
     Ma quella se n'è già andata via, in un bar sul binario con certi suoi amici di viaggio, o forse proprio suoi amanti.
     Nel frattempo il pubblico è sceso tutto dalla nave, e quella ha immediatamente levato gli ormeggi e sta guadagnando l'imboccatura del porto scostandosi lentamente dal binario della stazione.
     Quella balorda con le sue assurde chiacchiere sulle mie mani mi ha fatto perdere intanto un probabile imbarco, di cui io avevo molto bisogno.  

martedì 27 novembre 2012

GIOVANNI E LE POESIE

    Ero in un paese sconosciuto e andavo da una strada all'altra senza raccapezzarmi più di tanto. Mi sembrava di essere in Messico, ma non ero tanto sicuro. C'erano con me due o tre amici. Roberto Longhi e anche Giovanni Fraccascia.
    Giovanni in particolare aveva portato con sè un gran fascio di sue poesie e su un tavolo le sovrapponeva le une sulle altre.
     "Giovanni, amico mio, stai attento con le poesie a non sovrapporle le une sulle altre, altrimenti le confondi tra di loro e poi non ti ci raccapezzerai più", gli ho detto.
     Ma lui non mi ascoltava e continuava a mettere i fogli delle poesie gli uni sugli altri mischiando l'ordine e la numerazione.
    Ho lasciato perdere. 
    "Ognuno fa a suo modo", ho pensato. "E l'esperienza degli altri non serve a nessuno".
    Poi è venuto Roberto e ha detto:
     "Ehi, Giuan, Jusep, non avete fame voi?"
    Così siamo andati in un bar e ci siamo fatti dei panini con le acciughe marinate.
    Il paese era sulle montagne messicane e per tornare al mare dovevamo prendere un treno scalcagnato.
     A un certo punto ho notato che Giovanni non aveva più le sue poesie.
     "Ehi, Giuan, e le poesie? Che ne hai fatto? Le hai perse per caso?", gli ho detto.
    "Macchè! Le ho buttate", ha detto lui.
    "Minchia, ma perchè?", ho detto io.
    "Erano brutte, e poi i carmi non danno il pane", ha detto lui.
    Non gli ho detto più niente, io prima non sapevo nemmeno che lui scrivesse poesie.

lunedì 26 novembre 2012

RIUNIONE GENERALE PER IL BENE DELLA CITTA'

    C'era una grossa riunione di persone che dovevano decidere come aiutare la città. Tutti erano pieni di idee ma nessuno osava mettere nemmeno un centesimo sul piatto per far andare avanti il progresso e il bene di tutti.
    "Signori", ha detto all'improvviso Groucho Marx. " Io per conto mio metto una risata. Chi offre di più?"
    Nessuno ha offerto di più.
     Groucho Marx s'è rivelato il più generoso di tutti.
     Allora io tra lo stupore generale ho detto:
      "Io offro la mia bottiglia di vino. E' tutto quello che ho, non posseggo nemmeno un bicchierino in più".
      Allora tutti si sono offesi, e se ne sono andati  via senza rivolgermi nemmeno un saluto.
      Allora Groucho Marx ha detto:
       "Poichè sei rimasto solo tu farò ridere solo te".
       Ha preso una ragazza pin-up che l'accompagnava e ha cominciato a farle una predica, quella non capiva niente e la scena faceva ridere.
       Le diceva di mettere 10 dollari per comprare un trenino e far giocare tranquillo il sindaco della città, ma la ragazza non ne voleva sapere niente.
      Io i 10 dollari non li avevo, e così sono andato a pulirmi il frigorifero della mia cucina. Era pieno di ghiaccio ed effettivamente un pò di freddo lo sentivo anch'io.
     In città era buio, pioveva e tutti avevano un pò di raffreddore.

sabato 24 novembre 2012

LUNA DI MIELE IN UN POLLAIO


    Ero andato nella stalla di mio padre a prendermi qualche uovo fresco per mangiarmi a colazione, quando mi accorgo che sull'alta scansia delle galline stavano dormendo Thomas Zi'Ruck e sua moglie Maria.
   Allora prendo le uova e furtivamente cerco di allontanarmi.
   "Ehi, te! Ti abbiamo visto sai che rubi le uova a tuo padre!", mi dice Thomas Zi'Ruck.
    Io allora, scoperto, torno indietro con le uova in mano.
    "Sì, va beh! Ma voi che minchia ci fate a dormire nella stalla di mio padre?", dico loro.
    "Eh, ci siamo sposati di contrabbando e non abbiamo mica dove andare a dormire... E così siamo venuti qui a passare la prima notte di nozze", mi dicono.
    "Beh, parecchio originale una luna di miele in un pollaio...", dico io e smammo via a fare colazione con 4 belle uova fresche.
    Alla faccia di mio padre!

venerdì 23 novembre 2012

DUE MORETTINE

    Ero in un grande quartiere in costruzione. Palazzi, casermoni, grattacieli. Lì cercavo casa ma volevano molti soldi e io non ce la facevo a prendere niente.
    Venivano tanti impiegati, funzionari, arruffamatasse di tutti i generi, ma non c'era proprio niente da fare: casa per me non ce n'era.
    Quando all'improvviso arrivano due ragazzine, molto more, che con quattro chiacchiere e due moine in quattro e quattro otto ottengono la casa in men che non si dica, e senza tirare dalla tasca nemmeno un centesimo.
    "Ecco qui, anche due ragazzine, con le loro smorfie da tre soldi, ora mi sorpassano e mi spingono di lato con estrema facilità", penso con tristezza.
    La casa non me la danno e allora io me ne torno in campagna, dove ho la mia capanna e faccio tranquillo le mie cose.
    Ma ecco che le due ragazzine sono anche lì, vado da loro e chiedo che è successo, perchè sono andate via dalla città in costruzione anche loro.
     "Ci hanno chiesto una roba che non potevamo assolutamente dar loro", mi dicono ridendo. "E così abbiamo ridato indietro la loro casa di plastica e ci siamo riprese le nostra libertà".
     "Cosa vi hanno chiesto?", chiedo io.
     "Ah! L'amore! Ma mica è nostro l'amore! L'amore appartiene solo a Dio, gli uomini possono solo fare le bestie se ci tengono così tanto", e lì son scoppiate a ridere e poi se ne sono scappate via correndo tra le zolle nere del campo appena arato e gli alberi verdi del confine del campo...

giovedì 22 novembre 2012

INTERVISTA PER UNA RADIO DI MONTAGNA



    Era venuta a casa e si era seduta al mio tavolo di lavoro una giornalista, vestita molto eroticamente, che mi voleva fare un'intervista per una radio di montagna.
    "Sarà per me un'intervista molto sentita e vissuta con vera passione", ho detto io.
    Lei si era seduta proprio alla mia sedia e mi guardava con la luce alle spalle, così che io non potessi fissarla tanto bene.
    "Lei scrive libri importanti?", mi ha subito chiesto lei.
    "Se per importanti intende libri molto grossi, ebbene sì scrivo libri importanti. Beh, almeno per me lo sono", ho risposto io.
    Lei allora non mi ha chiesto più niente ma mi ha lasciato parlare a ruota libera, così come veniva veniva.
    Io ho parlato per almeno due ore, di filosofia, economia, crisi finanziaria, vuoto esistenziale, decadenza della scuola, i greci, il rinascimento e via discorrendo...
   Alla fine l'hanno chiamata dalla radio e le hanno detto che il tempo era scaduto e che la sua giornata lavorativa era finita da un pezzo. 
    Allora lei si è alzata, mi ha salutato a malapena e se ne è andata.
    Io ho fatto appena in tempo a salutarla che era già sparita, comunque ho fatto in tempo a guardarle un'ultima volta le belle gambe...
    Era una bionda, una giornalista vestita molto eroticamente per perdere troppo tempo a far domande...

IL DRAGONE

    C'era un dragone in piazza dalle mille braccia e in ogni grinfia aveva stretta una donna, così che roteava nell'aria un vero circo umano.
    "Ehi, tipo, ma non è che gli fai del male a quelle donne a tenerle aggrinfiate così strette tra le tue unghiacce?", gli ho detto io, guardandolo dal basso in alto, ma per nulla intimorito dalle sue ciclopiche dimensioni.
    "E a te che ti frega?", ha detto lui, sputando tutt'intorno fuoco e fiamme. Una maniera come un'altra per dirmi di farmi i fatti miei.
    "Guarda che se fai loro del male ti costringo a metterle giù", gli dico allora io.
    "Ah, sì? E come pensi di riuscirci?", mi fa lui, ghignando come un demonio.
    "Chiamo i carabinieri e ti denuncio", dico io.
    "Ah! I carabinieri! Ah! Ah! Ah!", si mette a ridere lui.
    Vorticava le sue lunghissime e numerosissime braccia con ognuna tra le grinfie una donna. Era uno spettacolo grandioso e terribile. E io non potevo farci niente per farlo cessare. Là intorno non c'era nessuno, nemmeno un vigile urbano, nemmeno un pompiere, nessuno che mi potesse lontanamente dare una mano a fronteggiare e a far venire a più miti pretese il drago.
     Le donne si facevano male, eccome se si facevano male. Ma la gente era contenta di assistere a quel mostruoso e incredibile spettacolo, e non pensava minimamente a protestare o a almeno tentare di far smettere quella bestiaccia lì.
     "Vai a casa, amico, altrimenti quel mostro ti ammazza", mi ha detto qualcuno che forse ha avuto pietà di me, che cercavo a tutti i costi un modo di costringere quella fiera di metter giù le donne.
     Allora mi son fermato. Ho visto il dragone dalle mille braccia procedere lungo la strada e allontanarsi indisturbato sempre vorticando nell'aria le donne nel suo spettacolo da circo mondiale, spettrale e ferale e  straordinario a un tempo.

venerdì 16 novembre 2012

L'ETERNA PARTENZA VERSO TERRE IGNOTE DELLO SCRITTORE DI PAESE

    C'era un grande raduno ad Acquaviva, in piazza. E là, sul palco ero stato chiamato io a tenere una conferenza. Si parlava del solito provincialismo da festa della cipolla e del panzerotto fritto, e su come aumentare naturalmente l'altezza di tutti i campanili del paese sulle restanti ville antiquate dei paesi vicini. Io ero sui tavoli posteriori del palco ma comunque chiamarono pure me a dire le mie panzane.
    Quando mi accorgo che è nelle vicinanze, presso un bar, Doris Schwald con due vecchie zie. Non so cosa sia venuta a fare, ma forse a vedere cosa combino io. E' un mio vecchio furore, fatto di tanto nulla e di tanta meschinità. Ma anche di tanta pazzia e spensieretezza.
    Io intanto finisco la mia conferenza e come al solito devo partire per Milano. Vado alla stazione e là mi accompagnano tanti vecchi amici, ma pure tanti giovani.
    "Se non fate ora quello per cui vi si infiamma il cuore quando vorrete mai farlo? Nella prossima vita?", dico loro.
    Tanti sono scontenti della loro esistenza in paese ma sono troppo deboli di carattere per tentare almeno di cambiarla, oppure più prosaicamente non vogliono rinunciare alle mille comodità che pure il paese riesce a garantire, nonostante la noia e la pigrizia generale.
     Sembrano venuti in tanti per seguirmi ma poi all'atto pratico tutti si tirano indietro.
     Chi deve obbedire ai suoi genitori, chi non vuole lasciare la sua fidanzata, chi gli piacciono troppo le orecchiette con le braciole al sugo...
     Alla fine resta che devo partire, come al solito, solo io. Io rimango un pò deluso, per dire la verità, perchè un pò di compagnia durante il viaggio mi sarebbe piaciuto averla, ma tant'è, sono pure abituato con piacere alla mia santa solitudine.
    Arriva il treno, saluto tutti e monto in carrozza.
    Il treno parte pigramente verso il Nord e io vado a cercami posto nei primi vagoni. Ma lì mi accorgo che la mia vecchia fiamma Doris Schwald ha trovato posto pure lei con le sue due vecchie zie, di cui una mi sembra che sia proprio la madre.
    Allora torno indietro perchè non voglio incontrarla. Per vergogna, credo, o per estrema voglia di solitudine. Tanto, comunque, non ho niente da dirle.
    Penso alla mia vita e al suo tanto vuoto. E mi viene l'idea che forse avrei fatto bene, tanti anni fa, a restarmene al paese anch'io. Certo, ma non avrei di sicuro vissuto la mia folle vita di scrittore allo sbaraglio come la sto sempre vivendo da quando m'è venuto quel lumicino della ragione verso i 17 anni...
    "Se non si vive la propria vita che senso ha vivere quella degli altri?", mi ricordo di aver pensato, e così mi son messo tranquillo nella mia eterna solitudine.
    Il treno andava piano verso Bari, ma tanto non c'era mica nessuna fretta...
    "Scriverò, amici, qualche poemetto anche per voi..."
     E intanto si parte, si parte per combinare chissà che cosa... e poi quasi nessuno viene a spulciare tra le tue carabattole che con tanta passione hai messo su alla maniera di un monumento nazionale...
    Chissà, chissà... se un giorno un nostro romanzo arriverà a New York...
    Il treno, mezzo arrugginito, comunque va... con le nostre vecchie amanti da qualche parte in carrozza...

NAPOLEONE A MONTECASSINO

    Ero a passeggiare in un viale di una grande città con Giampiero Mux. Mi diceva:
    "Ma qui la gente va in controsenso, non dovrebbe essere consentito. Dovrebbe essere ben vietato di andare contro le persone che passeggiano per conto loro, lungo il corso regolare del loro cammino".
     Come a farlo apposta c'era sull'altro lato del corso Napoleone Buonaparte, con il suo cappotto di battaglia e il suo famoso cappello della rivoluzione. Era basso di statura ma ben fiero nella sua postura.
     Giampietro Mux va da lui a fare le sue rimostranze:
      "La gente non dovrebbe andare in controsenso, dovrebbe essere proibito. Che ne dice, Generale Buonaparte?", gli fa a Napoleone.
     "Io sto pensando ai miei ragazzi che per conquistare una mezza stanza di una casa su a Montecassino, son caduti in 4.000. Capisci? Cosa vuoi che mi interessi se la gente va dalla parte sbagliata del corso?", dice Napoleone, con un fare triste oltre ogni dire.
     E si volta dall'altra parte e si rimette subito a pensare ai fatti suoi.

giovedì 15 novembre 2012

UNA SEDUTA

    Arrivo allo studio e la trovo truccatissima. Mi fa un certo effetto, lo devo ammettere. 
    Forse vuole una storia, penso. Le storie le chiamano transfert loro. Il latino è sempre la lingua dei vincitori, penso.
    Dopo i soliti convenevoli mi fa sdraiare sul divano. C'è un profumo erotico nell'aria. Non so se è della paziente prima di me o proprio suo. Decido di fregarmene.
    "Mi dica tutto quello che le passa per la mente", mi dice lei come al solito.
    "Tutto?", dico io, facendo come al solito il fesso.
    "Sì, proprio tutto. Mi deve dire sempre tutto, anche le cose che a lei possono sembrare insignificanti", dice lei.
    "Anche le parolacce?", dico io.
    "Se le pensa, anche quelle", dice lei.
    "Anche le robe sconvenienti?", dico io.
    "Tutto", taglia corto lei.
    Io mi sistemo meglio sul divano. E' proprio un buon profumo. E' suo. Ora che è dietro di me ne son sicuro, è troppo forte. Era truccatissima. Dietro di me. Un eros da capogiro. Ma... dovevo fare la seduta...
    "Una volta una ragazza, una mia amica di liceo, mi ha detto che se uno vuole davvero guarire da una storia d'amore fallita deve andare a cinema e vedersi 10 volte lo stesso film, se si riconosce in almeno un attore della storia allora può tornarsene a casa tranquillo. Io ho visto 10.000 volte lo stesso film, e mi sono riconosciuto in tutti i personaggi della storia", ho detto.
    "Qual era questo film?", ha detto lei.
     "Stalingrado", ho detto io...

    

UNA PERFIDA SECCHIONA

    A quella festa c'era pure il Dottor Katzone che raccontava a tutti come al solito tutta la sua vita.
   "Michelangelo ha dipinto un gigante che separa i dannati dai santi, io sono un dannato ma mi hanno dannato gli altri. Allora io per ripagarmi mi son messo in testa di dannare almeno lo stesso numero di persone che mi hanno buttato all'inferno. Faccio bene?", diceva.
    La gente non sapeva mai che rispondergli e allora si buttava sulla pasta e sui bicchieri di vino che son sempre stati più buoni da trattare che quei folli di mente degli uomini tutti...
    Il gigante è sempre il padre, pensavo io per i fatti miei, stando ben attento a non ficcarmi imprudentemente nei labirinti imperscrutabili altrui.
    Ma a un tratto si avvicina una zombie e mi fa secca:
    "E la tua tipa dov'è?"
    Minchia, e che ne sa questa loffia di te?, penso. Che ne può mai sapere?
    Dice che ti conosce, che ti parla, che si confida. Io ci rimango letteralmente seccato. Fucilato. Obnubilato.
    Il mezzo litro di vino scadente che mi son inspiegabilmente bevuto mi sale di botto alla testa e mi fa vedere i fumi degli spari di cannone che mi sta tirando in pancia quella saraca lì.
   Per fortuna torna Mister Katzone e con i suoi deliri devia le traiettorie di tutte quelle stronzate che mi sta vomitando addosso quella megera ruffiana.
    "Lo sai che Michelangelo ha dipinto un colosso che separa gli uomini buoni da quelli cattivi? E io sono tra quelli cattivi che qualche demonio vuole buttare negli abissi. Secondo te è giusto? Secondo me no. Io così ho deciso che poichè qualcun'altro ha deciso di farmi stare tra i cattivi, io allora mi metto a fare il cattivo di mia volontà così magari ci trovo qualche gusto nuovo. Tu che dici?", sibila in un fiato il Dottor Katzone.
    "Sei  sadomaso tu?", gli dice quella beduina con gli occhi a melacotogna.
    "No, milanese", dice quello che ha bevuto a stufo per tutta la sera gin e coca.
    La tipa non fa una grinza, volta il culo e sparisce.
    Ma davvero ti conosceva?
    Chissà cosa ti verrà a raccontare quando ti incontrerà di nuovo...
    Per consolarmi della figura di merda mi son mangiato 10 piatti di pasta. Mi sono ingozzato per riempire un vuoto siderale dentro di me.
    "Ora ci vorrebbero un bel paio di panini con porchetta", ha detto alla fine il Dottor Katzone, quando s'è reso conto che nessuna ragazza della festa si filava lui e la sua assurda storia del gigante dipinto da Michelangelo.

UNA STRANA SPOSA AL BAR


    C'era una sposa vestita eroticamente che mi ha chiesto:
   "Scusa, mi sai dire che ore sono?"
   Io mi son detto:
   "Questa qui si è appena sposata e già si vuole buttare all'avventura con il primo che gli capita... Sarà di certo una poco di buono...".
   E' stato allora che ho guardato l'orologio per sapere che ore erano e l'orologio non aveva le lancette. Era un orologio muto.
   E lei mi fa:
   "E allora? Me lo dici o no che ore sono?"
   "Non so. L'orologio non funziona", ho farfugliato io.
   "Sì, sì, non funziona... Mi sa tanto che sei te che non funzioni", ha detto lei con alquanta sicumera.
   "Ma insomma... Già sei mezza nuda, ti sei appena sposata e già cerchi l'approccio con il primo crocchio d'uova che ti si para davanti?", dico io alquanto risentito.
   "Ehi, babbione! Ma che dici? Sei tu che perdi tempo e non sai che fare. Non sai che una donna appena la sposi vuol fare l'amore?", dice lei.
   "Tu sei matta. Io son venuto qui per farmi un caffè. Trovo te seduta su un divano del bar che fai la fessa vestita da sposa e mi vuoi far credere che ti ho sposato io?", dico io.
   "Proprio così", dice lei.
   Io la guardo. E' proprio una bella ragazza. E' matta, sicuramente, ma mi piace.
   "Ma sei certa di quel dici?", faccio.
   "Sì, tanto tu hai sbagliato strada, io pure, così forse ci siamo incontrati qui. Dovrebbe funzionare", dice lei.
   "Ma incontrarsi e andar d'accordo non è la stessa cosa", dico io.
   "Ma non siamo mica noi che dobbiamo andar d'accordo", dice lei.
   "No? E chi allora?", dico io.
   "Loro", dice lei.
   Non so a chi si riferisce. 
   Lei socchiude gli occhi, ammiccante, e poi dice:
   "I sess". 

mercoledì 14 novembre 2012

IL CORVO IN INDIA

    Eravamo in India lungo un corso di città infinito, tutto pieno di mendicanti che ci cercavano  l'elemosina. Io e il Corvo, avevamo finito i soldi, ma i bambini con in braccio altri bambini erano davvero ossessionanti. Non eravamo ricchi, avevamo dato fondo a tutti i nostri averi, ma la povertà del mondo era certo molto più grande della nostra minuscola generosità. Le mani ci tremavano dall'angoscia, intorno a noi la normale follia di lambrette e vacche che si avviavano alla loro velocissima e lentissima vita quotidiana.
    Il Corvo mi disse:
    "Io parto domani, non ce la faccio più a reggere tutta questa miseria. Il mio cuore non regge più di un paniere per volta".
    "Il mio forse regge fino a due panieri, ma non è mica tanto più forte del tuo", dissi io.
    Il Corvo partì il giorno dopo.
    Io sono ancora qui che devo riempire ancora il mio secondo paniere.
    Il cervello gestisce sempre il proprio libero arbitrio con una volontà che va sempre tra il nulla e l'infinito, come d'altronde un pò tutte le cose...

martedì 13 novembre 2012

UN COMICO A WEMBLEY

    C'era lo stadio di Wembley stracolmo di gente. C'era la partita del secolo tra Italia e Inghilterra per la finale del campionato del mondo dell'intero millennio.
    Entra in campo il famoso deputato comico Antonio De Curtis.
    "Voi non sapete chi sono io, ma per dir la verità non lo so neanche io, così siamo pari: 1 a 1 e palla a centro...", comincia a dire.
     Ma lo stadio intero comincia a fischiarlo, vogliono i giocatori alla partita quelli, non un comico venuto dalla città degli spaghetti al pomodoro più famosa del mondo...
    "Ve l'avevo detto io di non far battute che non capisce nessuno allo stadio Wembley di Londra. Qui la migliore battuta che si possa fare è un gol nella porta", dice Fabius Capellus, famoso allenatore di squadre di calcio.
    La partita comincia.
    L'Inghilterra parte in quarta e già al primo tiro becca il palo.
    In contropiede l'Italia batte un fallo e centra una gran gnocca...
    L'Italia vince all'ultimo minuto con un tiro di piatto con gli spaghetti ormai scotti...
    Totò gira un film nuovo là, già nello stadio pieno: "Una pizza è sempre una pizza"...
    Fabius Capellus lo chiamano a fare l'allenatore di Cina, India e Russia contemporaneamente... Lui accetta e incassa 4 tonnellate d'oro...

lunedì 12 novembre 2012

ANTISTENE ALLA TERRA DEL FUOCO

     C'era una riunione di redazione di un giornale politico, e avevano chiamato pure me a partecipare per preparare il numero del giorno dopo.
    C'era il grande capataz Massimino D'Alano, il grande capo fallito e rifallito. Mi aveva dato un passaggio tanti anni prima al porto di Bari, e da quel tempo non l'avevo visto più.
    "Hanno scritto un articolo su un giornale argentino della Terra del Fuoco, dove si racconta che in Italia si campa di elemosina come ai tempi di Antistene, e pure secondo i dettami di quel filosofo capo indiscusso di tutti gli straccioni del mondo. Chi vuole rispondere?", dice lui.
    La ciurma della redazione al completo rimane zitta. Allora io alzo la mano e dico: "Rispondo io".
    "Bene", dice il capataz. "Poi vedrai che scriveremo qualcosa anche sui tuoi libri".
    "Troppa grazia, Sant'Antonio", dico io.
    "Beh, potevo anche ricordarmi prima di partecipare a queste riunioni di redazioni della minchia", penso.
    Apro il computer e clicco su Word, documento di 20 cm x 5cm. Un articoletto sciropposo ci entra bene.
    E così dico un pò a tutti, anche se per la verità nessuno più mi stava a sentire:
    "In primo luogo Antistene è greco e allora il suo pensiero ha a che fare con la Grecità e non con l'Italia, anche se certe attinenze senza dubbio ci sono, così il grande giornale sconosciuto della Terra del Fuoco sono da rigettare al mittente, che di greco, latino e ostrogoto italiota capisce come il cane di teologia..."...
    Poi rifletto e mi dico:
    "Ma chi l'ha mai letto questo giornale sconosciuto di una landa remota argentina come la Terra del Fuoco? Questo grande lider fallito se n'è andato all'aceto, è rincoglionito, è diventato pazzo alla fine... Eppure vuole scrivere articoli su di me... E' un pazzo totale, ormai... L'hanno messo già in pensione, ho saputo, per quanto vale così tanto...".
   Continuo a scrivere l'articolo ma senza molta convinzione...

domenica 11 novembre 2012

LA COLPA DAVANTI A SE STESSI

    Ma che è successo alla mia vita?
    E' diventato tutto così senza sbocco.
    Ero con un maglione verde, che mia madre aveva rovinato lavandolo, l'avevo pagato una sterlina a un mercato rionale di Londra, nuovissimo, di pura lana scozzese. E me ne stavo lì, senza far niente, in attesa di licenziarmi da quell'assurdo lavoro di impiegato di cazzate in un ufficio fatto di nulla più qualche altra nullità annessa.
    Si mangiavano spaghetti di plastica conditi con sugo di olio meccanico. Uno schifo che manco i pezzenti si mangiano alle mense dei poveri. Coca-cola calda come brodo, da sputarla appena assaggiata. Tutti in piedi, come ebrei in attesa di scappare da un massacro incipiente.
     La ditta dei panzerotti fritti, dei bicchieri rotti e delle chiacchere lessate.
     Lo spettacolo erano due ragazze che se le davano di santa ragione, il biglietto costava un occhio della testa e uno sconquasso nel portafoglio. Io ero lì per fare il rendiconto delle fotocopie per un libro su un violentatore pazzo di prossima pubblicazione sulle bacheche professionali dei lingotti d'oro editoriali nazionali.
    Falliti, picchiatori, balordi, schizzati di cervello. Tutti però, per una ragione o per l'altra, parecchio in grana.
    Va bene, facciamo questo rendiconto, tanto la stronza che mi dovrà pagare si farà telefonare 3000 volte prima di farlo, perchè l'hanno fatta presidentessa e se la tira un casino ora.
    Tutto, ma trovarti lì nella parte della bagorda legata e traviata, non l'avevo affatto preventivato.
    Sarà il caso che fa il demonio nella vita di tutti.
    "IL CLUB DELLE VIOLENTATE PROFESSIONISTE", così si chiamava il numero di cabaret da 4 soldi.
    Ho avuto pazienza, non ho deluso i miei datori di lavoro bastardi e figli di puttana.
    Chi ci capisce qualcosa è bravo di questa vita.
    E' tutto un gioco, e la scrittura serve per guarire, dice sempre la mia psicoanalista. Lei guarisce di sicuro con 100 euro a botta senza mai fare un cazzo se non ascoltare le mie minchiate insignificanti.

    Il mistero fa sempre colpo, intanto. Quando non capisci un cazzo e ti metti a pensare per 2 o 3 giorni di seguito è un colpo giornalistico sensazionale per la nostra maledetta coscienza con il dannato problema della colpa davanti a se stessi...
     ...Ma se il mondo è così miserevole chi mai può aver colpa?...
    ... Solo farsi tristemente qualche risata si può per almeno tentare di salvarsi...



LA MIGLIORE POLITICA POSSIBILE

    Me ne vado in giro per Milano quando a un tratto incontro Antonio De Curtis, famoso deputato politico italiano.
    Tutti lo salutano, lui rallenta e dà la mano a tutti. Io lo voglio salutare ma lui mi sorpassa e procede oltre, ma si accorge che io voglio parlargli e si ferma.
    Io mi avvicino e gli dò la mano.
    "Ora sono quasi 15 anni che ho scritto un libro su di te. Vorrei chiederti su come si può saldare quella atroce distanza tra la politica e i cittadini. Secondo me bisognerebbe un pò tornare a quel che facevano gli antichi Greci quando riunivano le loro assemblee di liberi cittadini e lì decidevano, insieme, su quale avrebbe dovuto essere la politica della città", gli dico.
    Lui mi sorride, mi stringe la mano e mi dice:
    "Eh, caro amico mio, voglio sperare che il libro che hai scritto su di me faccia ridere invece che piangere. Per quanto riguarda la politica la migliore cosa per i cittadini sarebbe lavorare nel migliore dei modi che sappiano fare e lì è la migliore politica possibile, perchè chi lavora bene vuole bene alla città, qualsiasi lavoro egli faccia, dal professore di filosofia allo spazzino. Poi, si sa, siamo in Italia, un piatto di trippa ben abbondante è sempre il migliore programma politico per qualsiasi partito. Ora ci sono le elezioni, tutti si daranno addosso, ma alla trippa per il popolo ci penserò solo e soltanto io ancora, e mi raccomando vota Antonio", mi dice lui, facendomi l'occhiolino e sorridendomi.
    "Ti sto già facendo la migliore propaganda possibile, e ovunque capiti parlo sempre bene di te e della tua lungimirante politica popolare", gli dico.
    "Bravo, amico mio, e mi raccomando non mi scorderò, quando sarà il momento, del tuo bravo piatto di trippa in brodo, con contorno piccante annesso, si capisce", mi dice lui.
     E così se ne va, perdendosi nella folla.
     Mi son scordato di chiedergli l'indirizzo, così gli potevo mandare il mio libro che avevo scritto su di lui...


LE POESIE DI JASH HALZ

    Stavo a fare la spesa in un supermercato immenso e per caso vado a capitare in un minuscolo settore di vendita di libri. Lì in una piccola scansia di metallo messa quasi a terra vedo una nuova collana di poesia Einaudi, con le copertine tutte nuove, non più completamente bianche come una volta, ma con il viso in grande dell'autore.
    Vedo un libro di poesie di Francesco Guccini e dedido di prenderlo. Poi c'è il libro di poesie di Jash Halz, un autore di cui ignoravo perfino l'esistenza. Decido di prendere anche questo libro, perchè mi viene il dubbio che Jash Halz sia proprio io che in passato usavo tanti di questi pseudonimi alla scalzacane.
    Prendo questi due libri e vado alla cassa.
    Son contento di questi acquisti bislacchi più del mezzo chilo di pollo che mi farò arrosto per la sera, con annesso vino Primitivo di Puglia, gradi netti 15+3 di contrabbando.
     Prendo il libro di Jash Halz e leggo a caso una poesia, sulla copertina un tipo folle con una barba di profeta indiano:
     "La mia Musa
       mi fa proprio andare su tutte le furie
       io fosse per me
       la manderei oggi stesso
       all'inferno,
       dove lei molto probabilmente
        vuole scaraventare me..."

COMPLESSO ROCK RUSSO

    C'era un concerto di un complesso rock russo. Il teatro era strapieno e stranamente erano tutti mascherati con pezze di stoffa multicolori improvvisate lì per lì, strappandosi ognuno un pezzo di veste o di maglia o di calza o di chissà qualcos'altro, probabilmente pure di mutande.
     La bolgia era universale. I russi quando si scatenano non sono mai secondi a nessuno. Pugni, balli, colossali bevute. Una baraonda unica.
    Viene da me una troupe televisiva e mi chiede un parere sul gruppo rock russo in esibizione. Io dico loro e sono sincero:
    "Questo gruppo vale il rock pure del migliore gruppo inglese, diciamo i Pink Floyd".
    "Ah, finalmente un occidentale che non ha paura di dire come la pensa, di dire la verità!", esclama l'intervistatrice, una bomba di eros e lussuria. Per me era pure ubriaca marcia, ma non ne sono tanto sicuro, forse era semplicemente l'effetto del rock su tutti noi.
    C'era lì anche Antonio Cassano, il genio del calcio italiano, dice alla tv:
    "Per me questo complesso di femmine è la cosa più fenomenale che ho visto in Russia dopo i Fratelli Karamazov di Dostoevskij".
     Il pubblico va letteralmente in visibilio e tutti si mettono a urlare:
     "Rock! Rock! Italia! Italia!".
     Tutti bevono vodka e ballano come dei pazzi.
     Dice un vecchio russo con una bottiglia di vodka in mano:
     "Questi matti son capaci pure di far tornare la Rivoluzione".


sabato 10 novembre 2012

UNA CENA MOLTO PARTICOLARE

    Ero a tavola che cenavo con una mia amica di liceo che mi aveva sempre filato e che io avevo mandato sempre in buca. La sala da pranzo era dignitosa e anche abbastanza ben arredata, anche se in definitiva una certa puzza di povertà aleggiava nell'aria incombente e fatale.
    Si cenava a base di fette di pane spalmate con cioccolata di nutella, latte e altri biscotti di vario genere.
    "Beh, almeno è una cena di certo molto originale. Solo che invece di essere una cena è una colazione, ma non si può certo avere tutto nella vita. L'importante è che ci sia qualcosa da mangiare almeno", ho pensato con un certo disappunto ma pure con un certo divertimento.
    "Pensavo che venivi stamattina, e invece sei venuto stasera", mi ha detto lei a mò di scusa.
    "Eh, hai ragione, non sono mai stato un tipo molto puntale", ho detto io.
    "Infatti, sono solo dieci anni di ritardo", ha detto lei.
    Io me ne son rimasto zitto, perchè effettivamente non sapevo di che parlava. Sembravamo sposati, ma io non mi ricordavo assolutamente di averla sposata. Possibile che m'ero scordato di una cosa così importante della mia vita? Probabilmente sì, sapevo di essere un tipo molto distratto e anche abbastanza scordarolo, ma non certo fino a questo punto.
    E mentre cenavamo abbastanza tranquilli, anche se in un certo qual modo anche abbastanza inquietamente, un urlo è venuto da una stanza vicina.
    Io sono sobbalzato di brutto.
    "Chi è che ha urlato in maniera così disumana?", ho chiesto.
    Quella che sembrava mia moglie, ma di cui non ricordavo minimamente nemmeno il nome, se non vagamente che una volta aveva frequentato il liceo con me, e nemmeno nella stessa classe, ma in una inferiore di un anno, ma di cui per il resto ignoravo praticamente tutto, mi ha detto:
    "Il nostro inquilino".
    Io me ne sono meravigliato assai.
    "Abbiamo un inquilino?", ho chiesto.
    "Sì", ha detto lei.
    "E chi è?", ho chiesto.
    "Nostro figlio", ha detto lei.
    Io avrei voluto chiederle con tutto me stesso se davvero avevamo fatto un figlio, e quando, e dove, e se si era mai curata almeno di farmelo sapere se non vedere, ma mi resi conto in un attimo che era tutto inutile. Io non mi ricordavo nulla, e che allora sarebbe stato proprio un dialogo tra sordi, ciechi, muti.
    Così, con un fare il più naturale possibile, ho mangiato la mia ultima fetta di pane con la nutella e mi sono alzato.
    "Vado al lavoro ora", le ho detto.
    "A quest'ora? E' tardissimo", ha detto lei.
    "Faccio il turno di notte", ho detto io.
    Lei ha annuito con un'aria tristemente rassegnata.
    Ho preso il cappotto, che fuori era inverno e faceva molto freddo, e me ne sono andato via.
    Non ci siamo nemmeno salutati. Tanto ci conoscevamo così intensamente che non sapevamo nemmeno i nostri nomi, per tacere del resto.
    Fuori faceva troppo freddo. Me ne sono andato alla fermata del tram e era davvero molto tardi: non ne passavano più. Allora io mi sono incamminato con buona lena verso casa. Non sapevo dov'era, ma sicuramente ce ne sarebbe stata da qualche parte una...  Milano è così grande...
http://soldatorock.blogspot.com

FESTINO ORRIPILANTE CON BELLISSIMA DONNA

    Era una stanza piena di mobili antichi, con quadri con soggetti marini, divani di pellicce pregiati, sedie di legno prezioso, tavoli  larghi di scrittori famosi. Al centro della stanza c'era una donna bellissima vestita molto eroticamente e tutti intorno parlavano fitti fitti e mangiavano allo stesso tempo come dei porci, spaghetti aglio e olio e peperoncini, e maccheroni col sugo alla puttanesca, molto piccante.
    Io non sapevo che fare in quell'ambientino lì, se cuccare la tipa o urlare a tutta quella gente impicciona e volgare di smetterla con tutto quel casino della miseria che stavano combinando.
    GNAM, GNAM, GNAM. BLA, BLA, BLA.
    "Si vede che questo è il nuovo sport nazionale", ho pensato. "Sbafare e blaterare allo stesso tempo. Vince chi più s'ingrippa e chi la spara più grossa".
    Io volevo cuccare la tipa, e allora nè mangiavo nè parlavo. Ma d'altronde tentare un qualsiasi approccio a quella stanga di bellezza era davvero impossibile in quel bailamme della malora.
    Allora non mi è venuto altro da fare che mettermi a stare male. Minchia, la situazione non è migliorata per niente. Mi è venuta una rabbia che davvero avevo voglia di cominciare a menare le mani a dritta e a manca, e a far fuori le teste di quegli assurdi minchioni a come veniva veniva. Avevo pure freddo e volevo mettermi una maglia di lana, ma non avevo tempo di cercarla perchè non volevo assolutamente perdere di vista la stanga supersonica di cotanta bellezza. Alla fine mi son deciso e mi son messo più tranquillo. Avrei cominciato a colpire con una mazza di legno massiccio quei loschi figuri che mi scombinavano i miei piani di normale uomo cacciatore di donne...
   Quando all'improvviso ho sentito degli strani scricchiolii tutt'intorno, i mobili antichi han cominciato a venir meno e a sbriciolarsi sotto i nostri occhi, i quadri a cadere giù dalle pareti, i divani a disfarsi, le sedie a spaccarsi, i tavoli a cadere giù sulle loro stesse gambe tarlatissime, gli spaghetti si son rivoltosamente trasformati in orribili vermi, i maccheroni in grossi ratti orripilanti, e tutte quelle persone importune si sono trasformate di botto in cadaveri incartapecoriti e han cominciato a cadere giù come pupazzi senza vita.
    Io mi son spaventato di brutto e ho subito pensato a salvar la pelle in tutto quello sfacelo mortale improvviso. Ma pure volevo salvare quella bellissima donna. Ma... la bellissima donna si era abbracciata a un vecchione malato e cadente, mi sembrava nientemeno che un Dio, ma privo della sua divinità, e così allora aveva solo le sembianze di una carogna qualsiasi. E ho visto che tirava fuori una pistola e faceva fuoco verso di me.
    Io mi son buttato a terra, e strisciando ho guadagnato l'uscita da quell'inferno...
    Fuori pioveva a dirotto, e io continuavo ad aver freddo. Ma almeno ora avevo tempo di cercarmi il mio maglione di lana, che mi ricordavo che dovevo pur avercelo da qualche parte in casa... 
    Fuori pioveva come in un diluvio universale...  

LA POLITICA VIGLIACCA DEI PICCOLI PASSI

    Ho saputo in questi giorni che ti sei fatto un amante vecchiaccio, così vecchio che sembra tuo nonno. Ti vedo sorpresa. Sai comunque che io ho i miei buoni informatori, per cui stai pure tranquilla che verrò a sapere tutto della tua storiaccia prima o poi, più prima che poi. Ma d'altronde mi sono proprio rasserenato l'anima a sapere tutto questo. Se avevo qualche dubbio ora è stato fugato. Ora tutto quello che è successo tra noi è molto più chiaro. Sì, sì, l'informatore è un tipo della Stasi tedesca del dopoguerra, uno che sa davvero il fatto suo. Ha pure la macchina fotografica per fare ritratti ai tuoi piccioni, quelli che ti cagano sulla terrazza. Non preoccuparti non le diffonderò a chi di dovere. Dopotutto io son davvero un signor nessuno, e passo invisibile da tutti i passi cittadini, senza bisogno di tessere o di abbonamenti strani. L'inesistenza esistenziale ha i suoi bravi vantaggi pure. Sì, sì, ora dirai che non eri tu, che mi hanno raccontato male, che dopotutto non sono affari miei, e via di questo passo. Non importa, sarà quel che sarà...
    Viviamo tutti in un grande manicomio di gente molto normale, questa è la verità. E allora è proprio per questo motivo che in definitiva la facciamo tutti franca.  Quindi non c'è proprio bisogno di prendersela tanto a male. Andrò avanti, come al solito, con la mia politica vigliacca dei piccoli passi. So con chi sei, cosa fai, come lo fai e perchè. Quindi sono molto tranquillo, davvero determinato a non buttarmi nel naviglio. Fai pure quello che vuoi, io saprò cavarmela. Ora sono a Nuova Dheli che guido la lambretta in mezzo a un mare di vacche, nessuno mi ha fatto la multa, e ho preso una camera in una pensione molto equivoca, il portiere mi ha detto che mi farà arrivare una sorpresa davvero bellissima verso mezzanotte, al prezzo stracciato di appena 150 rupie, mi sembra davvero un buon affare. Altrimenti domani quando la ragazza che mi ha telefonato perchè vuole comprare da me un libro molto raro di Franco Fortini arriverà sul mio portone di casa, la violenterò sulle scale e mi farò passare la paranoia.
    Credimi, mi fa molto piacere sapere che ti sei sistemata e che sei riuscita ad avere anche la pensione di vecchiaia, anche se per interposta persona, fattispecie il tuo nuovo amante tipo mummia egiziana ancora imballata nel suo sarcofago originale. Complimenti, hai fatto davvero un buon affare. Ti sei proprio sistemata per le feste.
    Il tuo amore per me si vede che l'hai buttato per aria come una nuvola di coriandoli per allegria di carnevale, spero di cuore che ti sia almeno divertita. Ora spero che il divertimento tocchi a me, quando ne saprò ancora di molto belle sul tuo conto dal mio fedele e efficientissimo agente della Stasi tedesca, tipo anni non troppo lontani del dopoguerra.
    Questo romanzo mi è davvero utile per far luce sulla cantina oscura della mia incomprensibile follia. La Psicoanalista vuol dire che ci aveva visto proprio giusto a definirti mantide religiosa. Quello che mi scoccia di lei sono i suoi onorari, ma è anche bella e allora si fa perdonare un pò tutto. E' davvero una brava maga e mi ha azzeccato la mia mano dei tarocchi. Pazzo, Appeso e Papessa usurpatrice. Io uomo nulla a nuotare nella polvere, ma questa carta mi sa che la devono ancora inventare.
    Ti penso sempre, e come al solito spero di venirti a trovare ancora in sogno. Ti amo ancora e per questo prendo due volte a settimana lo sciroppo di Freud... Ma è una medicina per niente utile a salvarmi dalla mia perfetta insignificanza di autentico signor nessuno...